È cinque volte più contagiosa. Ma, almeno secondo i primi timidi dati – e quindi con il dovuto beneficio del dubbio – sembrerebbe avere dei sintomi più lievi e portare a una malattia in forma meno grave. È Omicron, la variante di Coronavirus la cui avanzata è sempre più rapida ed esponenziale. «È chiaro al momento che se ci soffermiamo su aree con alto tasso di contagi Omicron, ma anche a livello nazionale, vediamo un quadro in cui non dominano i classici sintomi Covid», spiega a Newsweek il professor Tim Spector, scienziato di riferimento dell’app ZOE COVID assai diffusa nel Regno Unito. Negli Stati Uniti i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno segnalato anche un aumento dei casi di influenza. Il rischio di confondere i sintomi, quindi, aumenta. E un tampone diventa determinante per stabilire la causa e distinguere il SARS-CoV-2 dai virus che possono causare altri virus stagionali.
Come spiegato dall’Istituto Superiore di Sanità in questi giorni la variante Omicron appare avere tempi di incubazione e raddoppio del numero dei soggetti infettati assai più alto a quelle precedenti. E secondo alcuni studi, dice il coordinatore del Cts Franco Locatelli ribadendo la necessità di «proteggerci», avrebbe una «contagiosità di 5 volte superiore alla Delta».
Secondo i dati raccolti a Londra nel periodo ottobre-dicembre, i sintomi della variante Omicron che sono stati riportati sull’apposita app sono mal di testa, naso che cola, starnuti, spossatezza. Ovvero elementi di quotidianità di influenze e raffreddori comuni, in grandi e piccoli, per tutto l’inverno. Secondo i CDC ci vogliono una decina di giorni per riprendersi in genere dalle malattie comuni da raffreddamento. Non però per chi è immunodepresso, ha asma e patologie respiratorie: lì il pericolo è quello di sviluppare malattie più gravi, come la polmonite.
Anche uno studio condotto in Inghilterra dall’Imperial College nelle prime due settimane di dicembre confermerebbe che Omicron porta sintomi meno gravi della variante Delta. I numeri, si spiega, variano a seconda dei criteri di inclusione usati per i ricoveri: ci sarebbe un rischio più basso del 40-45% in caso di ricoveri di uno o più giorni, e tra il 15 e il 25% nei casi generici di arrivo in ospedale. Il minor rischio ospedalizzazione però va, nel quadro generale. Bilanciato con il pericolo più elevato di contagio causato dalla variante in sé. E dalla minore copertura data dalla vaccinazione. Il pericolo di finire in ospedale con Omicron per chi è già stato contagiato da altra variante Covid e che ha quindi un’immunità naturale al virus scende della metà. Quello di ospedalizzazioni lunghe del 61%.
Tra i sintomi che, secondo i primi dati, sembrano meno diffusi con Omicron e che invece sono caratteristici della Covid-19 ci sarebbe la perdita di gusto e olfatto. Secondo lo stesso studio, nel 48% delle persone che sono state contagiate con il Coronavirus “iniziale” si registra la perdita dell’olfatto e nel 41% quella del gusto. Nel caso di un piccolo focolaio di Omicron studiato invece in Norvegia, la perdita del gusto si è rilevata solo nel 23% dei pazienti e quella dell’olfatto in ancora meno persone, il 12%. A causare questa differenza però potrebbe non essere la variante ma lo stato di vaccinazione. Secondo Maya N. Clark-Cutaia, docente presso il Meyers College of Nursing della New York University, i pazienti vaccinati – con Delta o il coronavirus originale – tendono a presentare mal di testa, congestione, pressione sinusale e dolore sinusale. Mentre quelli senza vaccino hanno più possibilità di soffrire di respiro corto, tosse e sintomi simil-influenzali. Infine, l’ultima variante avrebbe un tempo di incubazione più breve. Basterebbero solo tre giorni dall’esposizione alla Omicron per eventualmente manifestare i sintomi, diventare contagiosi e risultare positivi. Con Delta e il ceppo originario erano dai 4 ai 6, ha affermato il dottor Waleed Javaid, direttore della prevenzione e del controllo delle infezioni al Mount Sinai Downtown di New York City. Le mutazioni aiuterebbero il virus ad attaccarsi e a entrare nelle cellule.
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