Negli ultimi venti anni, la popolazione italiana è cresciuta di 1 milione e 990 mila residenti, un dato che nasconde due tendenze territoriali contrapposte. Nel Mezzogiorno si è registrato un calo di oltre 673 mila abitanti a fronte di un aumento di 2 milioni e 663 mila residenti nel Centro-Nord. Il calo della popolazione nel Mezzogiorno, dovuto anche allemigrazione interna verso le regioni del Centro-Nord, è stato solo in parte compensato dalle migrazioni internazionali. La perdita, sia in termini assoluti che relativi, è risultata più intensa nel Mezzogiorno: -130 mila unità (-6,5‰) a fronte di -122,8 mila (-3,1‰) nel Centro-Nord. La diminuzione della popolazione ha riguardato solo gli italiani (-7,5‰ nel Mezzogiorno e -3,8‰ nel Centro-Nord); la presenza straniera è risultata in crescita. Tra il 2021 e il 2070, nel Mezzogiorno si concentrerà oltre la metà delle perdite nazionali, a fronte di una popolazione che pesa poco più di un terzo sul totale, determinando un deficit demografico aggravato dai flussi migratori verso il Centro-Nord. Con riferimento alla componente italiana dei residenti che emigrano, si può rilevare come dal 2002 al 2020 abbiano lasciato il Mezzogiorno quasi 2 milioni e 500 mila persone. Nel 2020, anno in cui si è osservato un calo generalizzato della mobilità interna dovuto al Covid-19, si sono trasferiti al Centro-Nord oltre 108 mila meridionali, 26 mila in meno dell
anno precedente.
LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DEL DECLINO DEMOGRAFICO
Lindice strutturale di dipendenza demografica, dato dal rapporto tra il complesso della popolazione non attiva (fino ai 14, oltre i 65 anni) e la popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, evidenzia l
incidenza complessiva della popolazione economicamente non autosufficiente «sostenuta» dalla popolazione in età da lavoro. Il che significa modificare il denominatore dellindice di dipendenza demografica, considerando solo la forza lavoro occupata tra i 15 e i 64 anni, perché solo essa può effettivamente contribuire a sostenere il peso della non-forza lavoro. IDS = popolazione di 0-14 anni più popolazione di 65 anni e oltre in rapporto della popolazione di 15-64 anni (in valori percentuali) Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT Al 2022 l
indice di dipendenza demografica è più elevato nelle regioni del Centro-Nord di 3 punti percentuali rispetto al Mezzogiorno, che già nel 2040 e poi nel 2050 supera il Centro-Nord, arrivando nel 2070 a un margine di 12 punti percentuali. In altri termini se ancora nel 2022 il Sud è la parte del Paese relativamente più giovane, questa condizione non sussiste più (e in modo crescente) dal 2040. Se nel 2002 lindice di vecchiaia (rapporto tra la popolazione di età pari o superiore a 65 anni sulla popolazione con età pari o inferiore a 15 anni) era del 96,9 a fronte di un 157%l Centro-Nord, nel 2021 i valori sono rispettivamente 168% e 89,8% con la previsione che nel 2070 il Sud arrivi al 329,7% rispetto al 280,8%l Centro Nord. Tra le regioni del Mezzogiorno, la Campania (la «più giovane» nell
Unione) nel 2022 segna lindice di dipendenza demografica più contenuto a livello nazionale, caratteristica che si conferma anche nel 2040 ma non per il Mezzogiorno. Successivamente, la forte accelerazione dell
indice di vecchiaia nel Sud determina un sempre più evidente cambiamento strutturale con indici del Centro-Nord che segnano valori più contenuti di quelli delle regioni meridionali. Quando passiamo allindice effettivo (che tiene conto del tasso di occupazione, cioè della forza lavoro che può sostenere la non-forza lavoro giovane ed anziana) il Centro-Nord peggiora l
indice che segna ancora un valore inferiore al 100% nel 2022; al Sud, invece, tutte le regioni, nonostante l`indice virtuale.
PIÙ COMMENTATI