TARANTO – «In questo momento proviamo solo sconforto, frustrazione e rabbia per aver visto sfumare i lavori, le energie e il reddito di un anno intero». Pierluigi, Piergiorgio e Ylenia sono tre giovani viticoltori di 39, 47 e 32 anni con la passione per l’agricoltura biologica. Da tre anni portano avanti assieme un progetto comune che riguarda perlopiù la coltivazione naturale nelle campagne tra Monteparano e Carosino.
La loro azienda si chiama “Piccoli piccoli”, una società agricola con terreni in affitto che da tre anni è orientata al biologico e alla qualità, con rese basse e una limitata produzione di bottiglie di vino bio. Tanti i progetti in testa, anche fuori dal regno del vino: le marmellate, i succhi, la coltivazione di legumi. Tanta anche la voglia di provare a fare qualcosa insieme che vada al di là del loro attuale impiego: Piergiorgio è residente a Carosino ed è dipendente presso una multinazionale della logistica, anche Ylenia vive a Carosino e si occupa di contabilità presso un’azienda mentre Pierluigi, residente a Monteparano, è l’unico dei tre che vive di agricoltura grazie ai quattro ettari di vigneto ereditati dal padre.
«Mercoledì a mezzogiorno – raccontano Pierluigi e Piergiorgio alla Gazzetta – abbiamo lasciato il terreno con circa 20 quintali d’uva di raccolto, circa 20mila euro di valore: venerdì mattina non c’era più nulla. È passato un gregge di pecore e il pastore lo ha fatto pascolare liberamente all’interno dei nostri terreni e anche di un altro agricoltore, lasciando solo i raspi: mancano dieci giorni dalla vendemmia e siamo sotto choc». L’atto, per le modalità d’esecuzione, sembra una ritorsione quasi personale: «I due terreni colpiti dal gregge sono posti a distanza, ma nessuno degli altri vigneti circostanti è stato toccato. Noi non abbiamo mai avuto uno screzio o una discussione con nessun allevatore, né tantomeno – spiegano i due agricoltori – con l’unica famiglia che nella zona possiede degli ovini. Nel nostro territorio si sa bene chi può essere stato perché ognuna di queste famiglie ha la sua zona, di solito il paese di provenienza, dove fanno pascolare le loro pecore in un clima di convivenza forzata con gli agricoltori».
I giovani agricoltori raccontano ancora che molti coltivatori locali hanno avuto dei grattacapi con questa famiglia di allevatori: «Qui tutti hanno avuto dei problemi con loro e il modo di reagire di molte vittime in passato è stato quello di farsi giustizia da sé». Nei piccoli paesi si mormorano che le vendette arrivassero persino all’uccisione degli animali. «Ci siamo ritrovati in questo mondo che ha le sue regole arcaiche e non scritte, dove funziona che dal pastore si va con la pistola perché purtroppo le denunce non servono a nulla, ma noi non siamo d’accordo con questo modo di fare e abbiamo sporto denuncia contro ignoti».
Ma nelle campagne del tarantino, per chi sceglie di tornare a lavorare la terra, non ci sono solo i pastori con cui fare i conti: «Tre anni fa ho subito il furto di quattromila barbatelle e dei pali in piombo – ricorda Pierluigi – e negli anni numerosi altri pali sono spariti dalle campagne anche dagli agricoltori che conosco. Ti mettono nelle condizioni di chiederti “chi me la fa fare di andare avanti?”».
In questi anni tuttavia per i tre giovani agricoltori produrre in modo naturale è stato un modo per dare un senso civico al lavoro della terra: «Per noi l’agricoltura – evidenzia Piergiorgio – è quasi un gesto politico, è un mezzo: abbiamo storie diverse unite dalla voglia di fare le cose in modo nuovo, tanto che tutti e tre investiamo soldi per formarci con dei corsi e aggiornarci sulle tecniche di coltivazione. Spendiamo anche le nostre ferie e tanti giorni all’anno in questi terreni. Io mi sono anche iscritto all’università, nel corso di Scienze e tecnologie enogastronomiche anche perché sappiamo quanto sia importante il marketing». Erano tutti orgogliosi di aver rimesso a nuovo un vigneto ormai in abbandono: «Questo era l’unico tra i due ettari in nostro possesso che siamo riusciti a salvare dopo la malattia della Peronospora: 7mila metri quadri che ci davano speranza e forza per andare avanti. Adesso abbiamo perso tutto».
Dallo sconforto attuale al futuro, magari con l’aiuto della comunità: «Non vogliamo attivare campagne di crowfounding perché crediamo servano per altri scopi più nobili. Chi ci vuole aiutare lo può fare acquistando le bottiglie che ancora non abbiamo venduto dalla scorsa vendemmia, come un nostro amico ha fatto appena saputo del fatto. Di certo stiamo riflettendo se lasciare o meno questo terreno». Una decisone che tuttavia si scontra con la voglia di non abbassare la testa: «Vorremmo, insieme agli altri agricoltori dei terreni confinanti, parlare e avere un dialogo con questa famiglia di allevatori. Sappiamo però che se tutto va secondo l’usanza, l’anno prossimo potremmo avere ritorsioni per la denuncia fatta e il rischio di perdere di nuovo tutto il lavoro di un anno». Tanti dubbi, insomma. E un po’ di paura. Soprattutto di restare a combattere da soli una battaglia di legalità.
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