La grande storia si nutre di piccoli eventi e racconti, che si ripercuotono dal centro in periferia. Questo, avvenuto a Ginosa, riguarda direttamente anche la mia famiglia.
Il mio trisavolo, il padre della mia bisnonna materna, Chiara, era originario di Castellaneta e si chiamava Vincenzo Schinaia.
Di mestiere faceva il commerciante di pesce, fu uno dei primi ad intuire le potenzialità di quella palude circondata dal mare, che poi sarebbe diventata Marina di Ginosa.
Vincenzo affittava le barche ai pescatori e poi prendeva la percentuale sul pesce pescato che andava a rivendere ai mercati generali di Taranto e di altre città della Puglia.
Per fare il suo mestiere, che in realtà gli fruttava abbastanza bene, usava un calesse, quasi identico a quello che vedete nella foto.
Vincenzo Schinaia amava molto il suo lavoro, sapeva che solo attraverso di esso, ogni uomo poteva trovare il suo riscatto e realizzarsi, proprio come recita l’articolo 1 della nostra Costituzione.
Vincenzo non amava il fascismo. Ma i suoi atteggiamenti non sfociavano in aperta opposizione politica, piuttosto si esprimevano in una silente e fortissima rettitudine morale, dettata da una retta coscienza e dal profondo senso del dovere.
Ma per tutti arriva il momento delle scelte. Per lui quel momento coincise con una data precisa: il 4 novembre 1922.
Il 31 ottobre dello stesso anno c’era stata la marcia su Roma. I fascisti a Ginosa fecero una sorta di replica, rievocata anche nella ballata tragica del dottor Sandro Catucci.
Le camicie nere, assaltarono il Comune e tentarono di colpire il sindaco, Rodolfo Sangiorgio, un avvocato riformista, che dalle file dei socialisti, era poi passato ai popolari.
Durante I disordini che ne seguirono, con 5 morti lasciati sull’asfalto, un gruppo di camicie nere circondò la casa del sindaco e per impedirgli di fuggire gli bruciò il portone di ingresso.
Fu in questo momento drammatico che entro’ in scena il mio trisavolo.
La sua casa era prospicente proprio con l’abitazione del Primo cittadino.
Vincenzo Schinaia fece cenno al sindaco di fuggire dal retro attraverso il giardino, riparando poi nel suo orto. Intanto preparó il calesse e lo accompagnó di nascosto fuori dall’abitato, lontano dalle minacce e dai pericoli dei fascisti.
Con un piccolo gesto di coraggio Vincenzo Schinaia si era schierato dalla parte della Libertà e l’aveva donata, a chi rischiava di perderla, a costo della vita.
Michele Pacciano
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