GINOSA – Negli ultimi anni dell’800, fin nei primi decenni del Novecento, milioni di Italiani lasciarono le regioni d’origine per migrare verso l’America. Sia che si trattasse degli Stati Uniti, o dell’America Latina.
Migliaia di ginosini presero il mare in cerca di fortuna. Alcuni la trovarono, altri no. In quegli anni anche Ginosa viveva una grande miseria. Persino la Madonna del Rosario, nostra patrona, rischiava di non avere una casa perché lo stipo in cui era riposta la statua della Vergine, stava per essere corroso dalle tarme.
A proposito di questo, la devozione popolare riporta una leggenda, che non è facilmente collocabile nello spazio e nel tempo, come tutte le storie di Fede.
Alcuni immigrati ginosini, lavoravano in una miniera, non ti sa bene dove, se in America del Nord, oppure in Argentina. Come desume dalla tradizione orale il priore della Confraternita del Santissimo Rosario e Sacramento, Alessandro Giannini, nel sudore del budello buio, stremato dalla fatica, uno di questi sventurati parve udire, come in un’allucinazione sonora, le campane della Chiesa Matrice di Ginosa.
Il minatore lo prese come un campanello d’allarme. Intimò ai compagni di scappare immediatamente. Gli altri erano scettici, ma prima che il panico lì invadesse, seguirono il loro compagno.
In una corsa folle, guadagnarono a stento l’uscita del tunnel. Un attimo dopo udirono un tremendo boato. La galleria era crollata dietro di loro. Se avessero esitato anche un solo istante, sarebbero tutti morti sottoterra.
Il gruppo di migranti, attribuì prontamente la sua salvezza all’intervento provvidenziale della Madonna di Ginosa.
Non si sa per quali vie, il minatore ginosino venne a sapere che la Madonna aveva bisogno di una nuova casa dove riposare. Impegnò gran parte della sua misera paga per far ricostruire il nuovo stipo per la Vergine, commissionandolo ad un grande ebanista del Sud.
Per anni questa teca ha custodito abbracciandola, la statua di Maria Santissima del Rosario, che noi abbiamo ancora il piacere e la commozione di ammirare durante le feste patronali.
Mi è piaciuto ricordare questa storia per sottolineare come anche noi, noi di Ginosa in tempi non lontanissimi, siamo stati migranti per il mondo. E non eravamo certo diversi dagli uomini e dalle donne che oggi guardiamo con paura e forse anche con un certo disprezzo. Negli Stati Uniti si chiamavano i negri bianchi, meno poveri di noi c’erano soltanto gli irlandesi.
Se non fosse stato per i padri scalabriniani e per una suora piemontese, Francesca Cabrini, che poi divenne la patrona di tutti i migranti, molti di noi non avrebbero neanche trovato un tetto.
In questo giorno di festa, ci affidiamo ancora una volta alla Madonna sapendo che non ci abbandonerà.
A proposito, qualche anziano ricorda un particolare che possa arricchire questa storia?
Michele Pacciana
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