«L’ho conosciuto quando avevo 17 anni, ero molto piccola e non comprendevo, o forse non volevo comprendere alcuni comportamenti».
Nora, nome di fantasia, è una donna che ha subito per anni violenza. Nel luogo e dalla persona di cui si fidava di più: suo marito, nella casa di famiglia. È la prima volta che racconta la sua storia e sceglie di farlo alla «Gazzetta»: «Ci sono dei retaggi che ti ancorano a degli stereotipi e tu pensi che sia normale».
Con il senno di poi Nora racconta di aver notato quelli che solo riconosce come «campanelli d’allarme», come l’eccessiva gelosia che ora definisce «morbosa». Perché non chiudere subito allora, perché sposarlo? «Un po’ perché ero inconsapevole, un po’ perché ero innamorata dell’amore – risponde Nora – sono nata in una famiglia dove c’erano delle convinzioni cattoliche radicate, dove la famiglia è santa e indistruttibile, devi sopportare tutto sempre, per il bene della famiglia. Io ho sopportato, ma con la nascita del primo figlio, la situazione si è aggravata: ero sempre meno adeguata come madre, donna e moglie. Una volta salai un po’ di più la pasta, ero frastornata perché mio figlio non mi aveva fatto dormire tutta la notte. Lui buttò il tavolo all’aria dicendomi che ero un’incapace. Un giorno avevo dimenticato di ricaricare i pannolini nel cassetto del fasciatoio, chiesi a lui se potesse prenderli dal ripostiglio. Tornò e sbattendomi con violenza il pacco dei panni in testa, urlò “sei una menomata, non sai fare un cazzo”. Più figli avevo, più le violenze aumentavano».
Il racconto di Nora si interrompe, cerca di fermare il pianto, decisa riprende a parlare: «Grazie a Dio era molto assente. Quando c’era si arrabbiava con i figli ed era violento soprattutto con il maschio. Ci sono stati diversi atti di violenza nei suoi confronti, di cui ancora adesso faccio fatica a perdonarmi», dice Nora piangendo. Finché è arrivata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: «lui iniziò una relazione con una donna, probabilmente ne aveva avute altre, ma questa era diventata seria e pretendeva che io accettassi in casa questa persona. Al mio rifiuto categorico e alla mia richiesta di separazione sono arrivati episodi violenza, che se prima si limitavano allo schiaffo, adesso erano botte. Quando arrivò la lettera di separazione, lui cercò di soffocarmi: mi ha messo le mani al collo e ha tentato di uccidermi. Non so perché si sia fermato, ma si è bloccato ed è scappato via. A quel punto ho preso le poche robe che avevo, i miei figli e sono andata a casa di mio padre per qualche giorno. In quell’occasione ho anche contattato i suoi parenti per dire loro cosa stesse succedendo. Lui non voleva concedermi la separazione e credo che in seguito sia stata sua madre a convincerlo».
«C’è stato un tentativo di violenza sessuale – continua a raccontare Nora – non viveva più in casa nostra e mi chiese di venire a prendere le sue robe. Io sono stata ingenua, perché in casa con me non c’era nessuno, i ragazzi erano a scuola, non avevo chiesto neanche a mia sorella o a qualche amico di venire a controllare. Non ho avuto questa furbizia. Lui salì e mi disse che voleva tornare con me, ma io gli risposi che non provavo più nulla per lui. A quel punto iniziò a spingermi, mi afferrò per i capelli, mi trascinò in camera da letto e tentò di violentarmi. Non ci è riuscito perché per respingerlo mi sono divincolata come un’anguilla. Lui è andato in cucina e ha preso un grosso coltello, me lo ha puntato addosso e io ho pensato “ecco, sono morta”. Non so perché, ma ha lasciato il coltello ed è scappato via. Si fermava sempre probabilmente perché capiva la gravità delle sue azioni».
L’episodio di violenza decisivo non è stato su Nora: «era all’inizio della separazione. Io ero uscita per fare la spesa – continua a raccontare – rientrando a casa sento le grida di mio figlio. Salgo le scale velocemente, entro nella stanzetta e vedo lui chino su mio figlio, su suo figlio, che lo riempie di botte, cazzotti e pugni e mio figlio in un bagno di sangue. Io non so dove ho preso la forza in quel momento, ma l’ho afferrato, l’ho tirato via, ho iniziato a tiragli calci e gli lanciavo tutto quello che mi capitava per le mani. Quello è stato il momento in cui io mi sono decisa a denunciarlo. Lui scappò, io presi il telefono cercando di chiamare i carabinieri ma mio figlio, già diciottenne, mi tolse il telefono di mano e mi disse “non voglio denunciarlo, negherò tutto”. Feci fare la doccia a mio figlio, lo disinfettai e poi chiamai lui. Gli dissi che se si fosse presentato un’altra volta sotto casa mia lo avrei ammazzato. Lui rispose al telefono – ci tiene a sottolineare Nora incredula -. Poi è completamente sparito dalle nostre vite. Fortunatamente».
«Il 10 agosto del 2016, il giorno in cui uscì dalle nostre vite, ricominciai a scrivere le mie poesie, lui me lo aveva sempre impedito: diceva che era inutile e me le strappava. Quel giorno ho ripreso la mia vita in mano cercando di migliorarla per me e per i miei figli» conclude Nora che oggi è volontaria per lo sportello antiviolenza dell’associazione Ethra e studia per aiutare le donne che hanno vissuto il suo stesso terrore.
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