Ad un occhio distratto il nostro paese, Ginosa in provincia di Taranto, può apparire come un vecchio indolente che si accartoccia su se stesso. Ma a ben guardare, non c’è molta differenza con le altre realtà della provincia. La sera non c’è quasi più nessuno in giro, a tratti si intravede qualche immigrato, che diventa anche una frotta sparuta, alla ricerca di un barattolo di birra disperata, come direbbe De Gregori, magari allo spaccio di bevande automatiche attivo 24 ore su 24.
Cartoline da una Ginosa che fu.
Non si consuma più il rito collettivo dello struscio, in villetta o sulla villa grande, topos degli anni 80, foriero di amori e di sguardi furtivi. I giovani escono, ma se ne stanno al caldo nei locali a bere e divertirsi quando va bene, o affollano i vicoli del centro storico alla ricerca di una privacy semi clandestina.
Ma non è solo carbone quello lanciato nel buio di una notte, c’è anche del fuoco che arde sotto la cenere. I giovani fanno lavori che noi non ci saremmo neanche immaginati. Non sono sempre precari, abbarbicati sui computer,
Loro sono sempre un passo avanti, figli anche smaliziati di quella intelligenza digitale e artificiale che ci sta passando accanto e ci sta trasformando senza che ce ne accorgiamo.
Certo, anche qui si scrive molto di più di quello che si legga. Ma non è raro trovare un ragazzo, o una ragazza, immersa nelle cuffie dell’iPhone, che ti sembra assente, ma se solo l’avvicini ti rendi conto che sta leggendo Anna Karenina, o La Ricerca del tempo perduto di Proust, sugli audiolibri di Kindle, o magari, proprio in quel momento, sta ascoltando Mozart, o cliccando una transazione in Bitcoin.
I giovani non sono sfaccendati, neanche a Ginosa. Se gli si desse una possibilità sole verrebbero il mondo come abbiamo tentato di fare noi alla loro età.
Il passato non era più bello, nel nostro tempo delle mele si cominciava a morire di Aids, e si cadeva sotto una spada di Eroina; ognuno di noi avrebbe una storia da raccontare, vissuta sulla propria pelle, o patita negli occhi ormai chiusi di un amico fraterno, forse scambiato per poeta maledetto, bello di fama e di sventura all’angolo di una strada buia.
No, i mitici anni 80, hanno anche attraversato la parte scura della luna;e noi, sognatori in erba, siamo sopravvissuti, aggrappandoci alla parte migliore delle nostre illusioni; e cercando un dignitoso compromesso per farle vivere nella realtà come sogno realizzato. Non è forse questo, alla fine, il senso ultimo della vita?
No, il passato non era più bello, eravamo solo noi ad essere più giovani e il futuro ti sembrava più vicino, da prendere nel palmo di una mano. Ora quella mano la dobbiamo dare ai nostri giovani, perché se ne facciano uno. Anche a Ginosa o fuori, dovunque vogliano. Ginosa, Laterza, Mottola Triggiano o Bitritto, non sono poi così diversi tra di loro, Spicchi di quella provincia italiana, dove germogliano i sogni di tanti ragazzi, pronti a partire o a restare, magari affidandosi anche ad un lavoro precario, o ad un volo low cost verso una capitale europea. I giovani non aspettano inerti, coltivano le aspirazioni, aspettando un’occasione, che forse arriverà e forse no.
Ognuno di noi ha un talento, il compito di noi adulti è forse fare in modo che venga fuori. O che si risvegli dal torpore in cui è caduto.
Lo facciamo veramente fino in fondo?
Michele Pacciano
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