È una brutta domenica, dopo i fatti di Roma. E non solo per il tempo uggioso che strapazza il sud d’Italia, ma perché gli avvenimenti di ieri e l’assalto alla sede centrale della CGIL in via Po, nella capitale, segnala uno spartiacque e un dirompente collegamento tra forze animate da un forte senso antidemocratico e anti scientifico che non si era mai visto in queste proporzioni e a cui se non vogliamo che degeneri verso obiettivi ancora più virulenti, dobbiamo dare risposte ferme, ma allo stesso tempo chiare e convincenti.
In questi anni il sindacato confederale ha perso di rappresentanza, così come tutte le aggregazioni d’interposizione civile, i partiti in primis, a favore di realtà centrifughe e assolutamente non inclini al dialogo e al processo Democratico.
Tuttavia alla base di questo malcontento di massa, c’è un disagio economico dilagante, al quale queste stesse forze, rispondono strumentalmente con un Welfare di base e con visioni apocalittiche chi fomentano ipotesi devianti.
Se non riusciremo a convincere e convogliare almeno una parte della protesta ci aspettano tempi molto più duri. È questa la vera sfida. E non ci vuole un nulla a rompere gli argini.
Una domanda su tutte: perché la sinistra non va più nelle fabbriche? Perché snobba sistematicamente il ceto medio, con le fabbriche e le piccole imprese che chiudono a valanga? Perché lascia una prateria a movimenti fascio anarcoidi?
Non pensiamo di essere immuni, il vento malefico e mefitico, soffia anche in provincia, anche a Ginosa.
(mip)
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