
Oggi è stata la giornata internazionale delle persone con disabilità. Quanti siamo in Puglia? Abbiamo una reale contezza della nostra situazione e di quella di chi vive le nostre difficoltà?
Una persona con disabilità è come un foglio di carta assorbente, respira, forse più degli altri, tutte le positività e le negatività che le girano intorno. A volte non ha gli strumenti immunitari e cognitivi per metabolizzarle e storicizzarle in un determinato momento e periodo della sua esistenza.
Quindi traumi e sindromi dell’abbandono, patiti magari nell’infanzia e nella preadolescenza, possono ripresentarsi in età adulta, con un’ incidenza dirompente e devastante.
Il disabile che ne ha facoltà, deve pertanto trovare il coraggio di chiedere aiuto, quando ne ha bisogno, ad ogni livello, senza mai però adagiarsi distendersi, o rattrappirsi su di esso, ma cercando sempre nuovi stimoli per vivere al meglio all’interno e oltre il proprio limite dato. Non rifiutando mai aprioristicamente e pregiudizialmente l’apporto che possa derivargli dal mondo esterno; capovolgendo la propria prospettiva e ponendosi altresì in quella di chi gli sta di fronte, anche con la formulazione di un semplice: «Grazie!».
Quando un neurologo della struttura di riabilitazione dove lavoro, mi disse convintamente, con gli occhi profondi e dolci, che le persone con disabilità gravi e gravissime, fossero degli angeli, accolsi la cosa con un certo fastidio di ripulsa.
Adesso, ad anni di distanza, gli do ragione: anghelos, in greco antico, significa annunciatore, le persone con handicap grave annunciano naturalmente, un gioioso e rabbioso attaccamento alla vita, che supera ogni barriera e si proietta in una lacrima, una bava, o in un sorriso, consegnandolo magari ad un garrulo muto, che ne fa dei catalizzatori e propulsori, di incontaminato amore.
Come uno specchio, rifrangente e catalizzatore, catalizzatore, oltre ogni pietà, la disabilità può farti riscoprire e percepire, in ogni giorno, il vero amore, di una mamma, di un amico, di una donna.
Anch’io conosco la prostrazione e l’impotenza. Convivo da anni, con la sensazione che i problemi ti sovrastino e ti schiaccino, in famiglia e fuori. A volte ti senti un Don Chisciotte, ma forse basta trovare la porta del mulino ed entrarci dentro. Un handicap non si accetta mai, soprattutto per chi lo vive di riflesso.
È inutile, ad esempio spiegare ad un normodotato, che il baricentro di una persona spastica, colpita o nata con una paralisi cerebrale, é inevitabilmente spostato, come sono spenti parte dei suoi neuroni e delle sue sinapsi, che riguardano il movimento, la cognizione, l’orientamento, o anche solo l’equilibrio spaziale.
Questo comporterà una visione distorta sulla piattaforma spazio temporale, che porterà il soggetto in questione a delle pause incongrue nel compimento di movimenti e nel raggiungimento di luoghi, anche interni all’abitazione, con frequenti fermate intermedie.
La persona normodotata, o il caregiver, spesso non è in grado di decodificare questa progressione contingente e ne prova fastidio. Non di rado redarguisce la persona con disabilità o anziana, sperando che questa possa neutralizzare l’errore per una prossima volta.
Questo non avviene per il vulnus neurologico che c’è a monte e che il familiare o la persona curante, difficilmente riuscirà ad accettare.
Sta quindi alla persona disabile, qualora ne abbia le facoltà, di affrontare in silenzio le difficoltà e di placare le ansie altrui, magari opponendo un comportamento silente e operativo alle pulsioni ansiogene di chi gli sta di fronte.
Mai dire ad una persona ansiosa che lo è, mai invitarla a stare calma. L’unica cosa è assecondarla. Non è facile, ma risulta alla lunga, l’unica strategia vincente.
Perché chi vive l’handicap di riflesso è spesso oberato dal senso di impotenza e di frustrazione per non poter aiutare il proprio caro come vorrebbe e questo sovente si trasforma in rabbia incontinente, se non in nevrosi.
Siamo noi, persone con disabilità, a dover aiutare chi ci aiuta, calibrando l’istinto naturale con la ragione e con l’affetto, per spezzare il vortice di una difficile quotidianità. È un processo difficile, ma non impossibile. Ci sto provando anch’io
Nel mezzo della notte, non riuscendo a dormire e dimenandomi nella veglia, smanioso e inerte sulle assi del letto, con occhi vuoti a fissare se il soffitto, dopo essermi assopito, nella carezza di Dio, ho compreso, che per sconfiggere la mia abiezione, che non aveva volto, se non nel dolore fisico, generalizzato e impalpabile, non dovevo arrampicarmi lungo le piaghe grondanti della mia disperazione, avrei dovuto invece, attraversarla, analizzarla ed amarla, fino a ri-assumerla dentro di me.
Solo dalla consapevolezza, come esperienza di lotta e di apertura e di vissuto personale, può venire, la reale acquisizione di diritti, che non è mai irosa pretesa, ma sempre conquista pattuita e partecipata.
Da qualche giorno in Puglia, abbiamo un nuovo garante per le persone con disabilità, non arrocchiamoci nell’accidia di dire, tanto non serve a niente. Cogliamola come una nuova possibilità, poniamogli e ponendoci una domanda precisa: A che punto sono le barriere architettoniche, nel nostro paese, a Ginosa?
Prendiamo il telefonino e documentiamo tutto quello che vediamo, diventiamo operativi, mandiamo tutto il materiale al garante.
Incalzialmolo. aiutiamo gli altri, anche le istituzioni, a riconoscersi persone e ad aiutarci. Diventiamo veramente incisivi. Insieme.
Michele Pacciano
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