Ho appena appreso della morte di Luciano Luisi, che avevo avuto il piacere di conoscere da ragazzino, in uno dei suoi tanti soggiorni a Ginosa.
Luciano Luisi aveva un rapporto simbiotico e ancestrale con il nostro paese, che si adombra in molte sue poesie, quasi a rimarcare il legame sinottico e sintattico con la terra paterna, simbolo di un amore contrastato e venato di malinconia.
A suggellare questa sindrome del raccordo, che faceva di Luciano Luisi, il poeta dell’incontro e del ritrovamento, all’ingresso della sua villa di Roma si era fatto piantare un gigantesco ulivo, in ricordo delle sue origini pugliesi e toscane.
Scoperto e apprezzato giovanissimo nelle sue liriche, scoperte da Giuseppe Ungaretti, Luciano Luisi era nato, come riporta l’enciclopedia multimediale Wikipedia, da madre toscana e padre pugliese (originario di Ginosa), e aveva trascorso l’infanzia in Lombardia e a Parma.
Ha insegnato giornalismo televisivo all’Università Pro Deo di Roma e storia dell’arte all’Accademia di belle arti di Foggia.
Ha diretto L’Informatore librario ed è stato segretario generale del premio Fiuggi dirigendo la collana di saggistica dedicata ai vincitori e, insieme a Cosimo Fornaro, quella del premio Ori di Taranto.
Ha pubblicato racconti, romanzi e raccolte di poesie oltre a traduzioni e monografie su Mario Luzi, Vasco Pratolini, Leonardo Sciascia, Eraldo Miscia e, fra quelle per artisti figurativi, su Emilio Greco, Renato Guttuso, Renzo Vespignani e tanti altri, ricevendo importanti riconoscimenti e vincendo numerosi premi.
È stato inoltre un collezionista e studioso di conchiglie.
Viveva a Roma, dove per diversi anni è stato una figura preminente della vita artistica italiana sullo schermo televisivo.
È stato il primo grande divulgatore di libri sui canali televisivi pubblici.
Il suo testamento spirituale e letterario, Secondo me, rimane la raccolta di poesie,“Un pugno di tempo”, edito da Guanda, in cui spicca la lirica dedicata al padre, al cui centro troneggia l’ulivo monumentale di Ginosa.
Michele Pacciana
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