Emiliano Costantino, classe 1898, era socialista ancora prima di nascere.
Svezzato a pane e terra, abituato a dissodare le zolle più dure, per migliorare le condizioni di vita della sua famiglia, portava già nel nome la sua ansia di lotta e di riscatto sociale.
Suo padre Francesco, uno dei capostipite della grande famiglia Costantino, di Ginosa, detto Ciccio, imbevuto di quel primo socialismo di matrice anarchica, si era abbeverato al mito rivoluzionario messicano di Pancho Villa ed Emiliano Zapata; quando nacque suo figlio, gli volle trasfondere fin dal nome, quell’ideale di Giustizia e di Uguaglianza.
Emiliano crebbe in fretta, il socialismo, più che una fede politica, era un orizzonte etico e una intrinseca modalita’ di comportamento.
Allo scoppio della Grande Guerra, nel 1915, aveva solo 17 anni. Come tanti ragazzi del Sud, fu chiamato alle armi a combattere in trincea una guerra che non capiva, in cui operai e contadini, morivano come mosche per conquistare qualche inutile avamposto, magari seguendo l’ordine sbagliato di un ufficiale.
Sulla prima linea del fronte, insieme a compagni veneti friulani, lucani e lombardi, il giovane ginosino si convinse che la vera salvezza stava nella cultura e nell’avanzamento delle classi lavoratrici.
Con lui, da Ginosa, era partito anche Cosimo De Canio, suo fratello per parte di madre, che come molti altri giovani contadini del Sud, stremati dalla guerra, disertò e tornò di nascosto a Ginosa. I carabinieri reali, messi sull’avviso, si recarono nottetempo a casa di Ciccio Costantino, lo prelevarono e lo misero in gattabuia, cercando di estorcergli informazioni su dove si nascondesse Cosimo. Ma Ciccio, che voleva bene al ragazzo come fosse suo figlio, non parlò neanche sotto tortura; e i carabinieri dopo due giorni di galera, si videro costretti a rilasciarlo.
I Costantino sono sempre stati una famiglia molto unita: Tutti per uno, uno per tutti!
Nel 1918, nonostante la vittoria, chi qualcuno si affrettò a chiamare mutilata, anche a Ginosa si respirava la miseria nera e le piazze della Puglia pullulavano di invalidi di guerra, che chiedevano l’elemosina agli angoli delle strade. Quando Emiliano tornò a casa, si rimboccò le maniche, ricominciò a lavorare e con l’ardore dei suoi vent’anni, prese la tessera numero 1 del Partito Socialista italiano della federazione di Taranto.
Si faceva la fame e le ricche Americhe cercavano braccia e offrivano lavoro a volontà. Anche Emiliano partì alla volta dell’Argentina.
Aveva una buona istruzione e si fece subito notare. Prima fu assunto come capo bovaro e poi arrivò a dirigere una piccola squadra di operai in una ricca fazenda della Pampa. Era un gran lavoratore, ma aveva anche fama di gagà e di Dongiovanni.
Si racconta che in Argentina avesse accumulato una discreta fortuna, ma l’eco di qualche sua marachella, giunse alle orecchie del padre, che, senza alcuna possibilità di replica, gli ordinò di tornare immediatamente a casa. Allora, ai genitori, si obbediva senza fiatare.
Quando Emiliano arrivò a Ginosa, in Italia tirava una brutta aria. I fascisti, nati come movimento politico nel 1919, guidati dall’ex socialista Benito Mussolini, rumoreggiavano anche a Ginosa. Nel Partito Socialista, intanto, dopo il cosiddetto Biennio rosso e l’occupazione delle fabbriche, si assisteva ad una dura lotta tra massimalisti e riformisti. Qualcuno già parlava di rivoluzione proletaria, sull’onda di quello che era avvenuto nel 1917 in Russia. Questi sommovimenti politici sfociarono nel 1921 nella svolta di Livorno, che portò alla nascita del Partito Comunista d’Italia. Le lotte interne al partito, si riflettevano anche dividendo le famiglie socialiste di Ginosa. Emiliano non era mai stato massimalista, credeva in un processo graduale che attraverso il lavoro avrebbe portato alla conquista democratica del potere da parte dei lavoratori. Successivamente un ramo della famiglia, aderì convintamente al Partito Comunista di
Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga.
Questa divisione, politica, familiare, e non solo, si è protratta fino ai nostri giorni, segnando la vita anche amministrativa del nostro paese e facendone un microcosmo di tutti gli avvenimenti che scossero contemporaneamente l’Italia intera. Ma questa, è un’altra storia.
In quegli anni, Antonio Gramsci aveva profetizzato: <<rivoluzione, o reazione!>>.
La reazione non tardò a farsi sentire. Il 4 novembre 1922, immediatamente prima della marcia su Roma di Benito Mussolini, i fascisti ginosini presero il Comune con la forza e defenestrarono il sindaco di Ginosa, Rodolfo Sangiorgio che aveva dato vita ad una Giunta con i Popolari, lasciando il Partito Socialista, da cui proveniva. Il sindaco fu costretto a fuggire e nei tumulti che seguirono, in conseguenza di un episodio ancora non del tutto chiarito, ripreso in forma di ballata popolare da un recente libro del dottor Sandro Catucci, con 5 morti, lasciati sul selciato, i Costantino furono protagonisti di un episodio meno noto, ma non certo meno drammatico. Per riaffermare la loro presenza e il controllo del territorio, i fascisti locali, presero in consegna alcuni esponenti socialisti, pronti a compiere un gesto dimostrativo.
Tra i socialisti c’era anche Cosimo De Canio, il fratellastro di Emiliano, che aveva partecipato con lui alla Grande Guerra. Le camicie nere lo presero e stavano per legarlo a un palo e passarlo per le armi. Sulla piazza del paese calò un silenzio di Tomba. Improvvisamente dalle terrazze antistanti, spuntarono i fratelli Costantino con i fucili spianati. <<Se voi ammazzate Cosimo, intimò Emiliano, noi siamo tutti pronti a far fuoco!>>. Secondo la ricostruzione della storia, che è diventata leggenda familiare, i fascisti non se lo fecero ripetere due volte se la diedero a gambe.
Negli anni 30, con il regime nel pieno del potere, Emiliano Costantino fu spedito prima in carcere a Turi e poi al confino di polizia. Durante la prigionia avrebbe fatto un incontro destinato a cambiargli la vita. Tra i suoi compagni di cella c’era anche un avvocato di Savona, militante socialista della prima ora come lui, accusato di aver favorito la fuga in Francia di
Filippo Turati, il mitico fondatore del socialismo italiano. Il Ligure dalla scorza dura, che fraternizzò subito con il compagno pugliese, si chiamava Sandro; e divenne l’amico inseparabile di Emiliano, tanto che per tutti gli altri carcerati erano diventati: Sandrì ed Emì!
La prigionia, la guerra. La caduta del Fascismo. Ognuno tornò a casa.
Emiliano seguiva la politica da attento osservatore. Era sempre iscritto al partito, ma come un novello Cincinnato continuava a coltivare i campi. Rimaneva riservato e non parlava con nessuno del suo periodo di confinato politico. Ma in cuor suo, quasi in segreto, continuava a seguire la carriera del suo amico Sandro.
Sandro Pertini diventò il Presidente della Camera e poi il Presidente della Repubblica, il più amato dagli italiani. Neanche lui aveva dimenticato il suo vecchio compagno.
Nel 1980 il Presidente Pertini venne a Taranto e dopo aver visitato gli operai dell’italsider, si fermò in Prefettura. Ma un tarlo non l’ho abbandonava:<<Avevo, un compagno, un amico in cella con me a Turi. Era di Taranto… di… si chiamava… si chiamava… EMÌ! >>
Gli impiegati della prefettura di Taranto lo guardarono esterrefatti. <<Trovatelo, trovatelo! Voglio salutarlo!>> intimò il Presidente.
<<Certo, certo, Presidente! >>.
Gli impiegati non sapevano proprio che pesci pigliare: Emì, Emì, Ma chi cavolo è questo?
A 82 anni suonati Emiliano stava tranquillamente badando ai suoi campi e non pensava minimamente che la vita gli avrebbe riservato un’altra sorpresa.
L’auto strombazzante di giovani militanti socialisti lo prese quasi alle spalle. <<Vieni, vieni, presto, dobbiamo andare a Taranto! Il Presidente ti vuole!>>.
<< A Taranto, il Presidente? Ma che…?? >>
<<Sì, sì! Pertini in persona ha chiesto di te! Muoviti! >>
<<Pertini? Ma state scherzando? Fatemi almeno mettere qualcosa addosso!>>.
La macchina vola Sulla 106 per Taranto. in Prefettura, Emiliano è molto emozionato. Non riesce quasi a parlare.
<<Presidente, Presidente! Come sta, Presidente?! >>
<<Ma quale, Presidente e Presidente… ! Vieni qua, fatti abbracciare! Per me, tu sarai sempre Emì! E io, per te, sarò sempre Sandrì! >>.
Abbiamo raccontato un’antica storia, di quelle che Ginosa nasconde ancora nei cassetti di famiglia. Di quelle che non ti stancherai mai di ascoltare e che ti scalderanno sempre il cuore.
Chissà quante altre ne avrete, da raccontare. Accomodatevi pure!
Emiliano Costantino, morì un anno dopo, nel 1981. Da quel vecchio socialista che era sempre stato, salì convento in paradiso, dopo aver rivisto il suo Presidente.
Michele Pacciana
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