Un piano di formazione professionale per i cassintegrati a zero ore dell’area di crisi industriale complessa di Taranto, soprattutto i 1.600 in carico a Ilva in amministrazione straordinaria, che preveda il loro impiego in attività socialmente utili. Esempio, le bonifiche ambientali. E’ il tema che la Regione Puglia ha aperto col Governo e con i sindacati. Con quest’ultimi ha avuto un confronto iniziale il 17 maggio. Quando l’argomento è venuto fuori la prima volta, la Cgil ha pensato ad una riedizione dei vecchi lavori socialmente utili ed ha detto no. «Ma non va fatta alcuna confusione con i lavori socialmente utili tenuti in piedi per circa 30 anni – spiega ad Leo Caroli, a capo della task force occupazione della Regione Puglia -. In questo caso parliamo di politiche attive del lavoro e di un avviso che vogliamo lanciare, discutendolo con i sindacati, avendo come beneficiari coloro che sono in cassa a zero ore».
Task force: evitare il lavoro nero
«Nel caso di Ilva – specifica Caroli -, i lavoratori restano dipendenti di Ilva in amministrazione straordinaria, non passano ad altro soggetto, anche perché è Ilva, in base ad un accordo del 2018, che li deve ricollocare al lavoro”. “Anzichè tenerli in cassa integrazione senza far nulla oppure vederli nel lavoro nero, diamo una prima connotazione produttiva ai lavoratori” aggiunge il coordinatore della task force. Caroli spiega che la Regione Puglia ha a disposizione 10 milioni di euro per la formazione dei lavoratori dell’area di crisi “e che è in atto una discussione con i ministeri del Lavoro, dell’Ambiente e del Sud». «Quando parliamo di attività socialmente utili, pensiamo a qualcosa che possa avere una ricaduta positiva per l’area di Taranto, ad esempio le bonifiche» spiega Caroli.
I sindacati: verificare piano Acciaierie d’Italia
«Un piano di formazione di questi lavoratori non può non partire dal piano industriale di Acciaierie d’Italia, la nuova società pubblico-privata costituita circa un mese fa – dice Giancarlo Turi, segretario Uil -. Non ha senso una formazione scollegata dai bisogni dell’azienda e dalle figure professionali di cui questa avrà bisogno. Anche perché parliamo, nel caso dell’ex Ilva, di un’azienda che dovrà affrontare un impegnativo percorso di transizione». «Non bisogna poi dimenticare che parliamo, a proposito dei cassintegrati di Ilva in amministrazione straordinaria, di lavoratori che sono stati in siderurgia per tanti anni – prosegue Turi – e la loro ricollocazione deve comunque avvenire in ambito industriale, non certo in un ambito generalista. A ciò si aggiunga che questi lavoratori percepiscono anche una cassa integrazione economicamente rafforzata per via dell’integrazione”. E anche Paolo Peluso, segretario Cgil, dice che “resta tutto da verificare il piano industriale che Acciaierie d’Italia presenterà alle organizzazioni sindacali quando si avvierà la trattativa sui livelli occupazionali. L’obiettivo resta sempre la piena occupazione». «Il reintegro dei lavoratori attualmente in cassa integrazione” con “garanzie di reintegro anche per coloro ancora in capo all’amministrazione straordinaria, per i quali al momento non intravediamo alcun valido percorso alternativo», chiede infine il segretario Fim Cisl, Biagio Prisciano.
Sinora nelle bonifiche solo poche decine di unità
L’idea di impiegare i cassintegrati di Ilva in amministrazione straordinaria nelle bonifiche, non è nuova. La gestione commissariale di Ilva, proprietaria degli impianti, un piccolo nucleo, una cinquantina di addetti, lo tiene già impegnato nella bonifica delle aree del siderurgico che a novembre 2018 non sono state cedute ad ArcelorMittal Italia. Si tratta di un lavoro da poco avviato. Riguarda lo smaltimento di 400mila tonnellate di fanghi industriali. Poi andrà affrontata la bonifica della gravina Leucaspide alle porte di Taranto, ma qui va prima sciolto il nodo delle caratterizzazioni ambientali chieste da Arpa Puglia. In ogni caso, il vero problema non è aumentare la quota di cassintegrati nelle bonifiche, ma il loro futuro. Anche per il 2021 stanno percependo l’integrazione alla cig, pari al 10 per cento dell’intero trattamento, una misura che vale 19 milioni di euro entrata nel primo decreto “Sostegni”, ma è difficile ipotizzarne il loro rientro in acciaieria. Lo prevedeva l’accordo con ArcelorMittal Italia del 2018, ponendo come data finale il 2023, ma quelli successivi (marzo e dicembre 2020, rispettivamente tra ArcelorMittal e Ilva in as e tra ArcelorMittal e Invitalia) non ne fanno più cenno. Inoltre, a parte i 1.600 dell’amministrazione straordinaria, a Taranto ci sono altri 3.000 degli 8.200 diretti ArcelorMittal in cassa integrazione Covid e nonostante la congiuntura favorevole spinga la produzione di acciaio con positivo riverbero sui prezzi, lo stabilimento di Taranto viaggia con una produzione bassa e con soli due altiforni su tre e un’acciaieria su due.
Giorgetti: l’acciaio non avrà esuberi zero
E non sembra finita perché nel vertice del 14 maggio al Mise, il ministro Giancarlo Giorgetti ha detto che il progetto della nuova società tra Stato e privato, Acciaierie d’Italia, necessita di “un periodo transizione che va gestito” così come “dovranno essere gestiti gli esuberi”. «Sappiamo che non tutti i lavoratori saranno assorbiti nel nuovo progetto – ha aggiunto – ma abbiamo la possibilità, visti gli investimenti a disposizione, di ricollocare tutti». Il che fa capire che l’ultimo piano che prevedeva 8milioni di tonnellate di acciaio entro il 2015 ed entro quella data il mantenimento dei 10.700 dipendenti, non regge più. «Se la transizione non sarà breve – commenta Antonio Talò, segretario Uilm -, bisogna pensare ad una integrazione economica della cig anche per i diretti ora in capo a Mittal. Non possiamo tenere per altri anni i lavoratori a 900 euro al mese».
Di Domenico Palmiotti (Il Sole 24ore, 17 maggio 2021)
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