Sto scrivendo un libro, con un mio carissimo amico israeliano. Ci siamo spartiti tutto, pane e gioventù. Lui, Fabio, è un ebreo romano, fricchettone e autoironico, come solo chi ha attraversato veramente il male, sa essere. Oltretutto è un romanista sfegatato. La sua famiglia, è una delle famiglie ebraiche più antiche della capitale.
Io e Fabio abbiamo entrambi una tetraparesi neonatale, Praticamente siamo gemelli siamesi.
Quando lavoravo a Roma, ho usufruito anche della sua ospitalità in una tana di Trastevere. La mattina facevamo i turni e le Gimcane con le carrozzine per andare in bagno. Ma ci divertivamo un mondo. Ricordo una sera, incorniciata da un magnifico tramonto romano, quando sfiniti da una passeggiata sui sanpietrini, con la schiena rotta dalla fatica, non ce la facevamo proprio più a tornare a casa, Eppure era proprio dietro l’angolo, vicino a Piazza San Cosimato, poco dopo il bar dove fu ferito a morte Franco Giuseppucci, detto “er negro”, il primo storico capo della banda della Magliana. Cotti dalla fatica, quella sera, chiedemmo aiuto a due ragazzi di passaggio, che ci spinsero fino al nostro monolocale. Grati dell’aiuto, li invitammo ad entrare in casa a bere qualcosa. Per rompere il ghiaccio, uno dei due accompagnatori occasionali chiese a Fabio: «Di che squadra sei?»
quello non si fece pregare e lo geló come una risposta spiazzante: « Ragazzi, io so’ disabile, so giudió, ma laziale, no… eh!». Risata generale
una serie di vicende ci hanno divisi, ma mai separati. io sono tornato a Bari. E lui ha fatto la Alyah, la salita, il ritorno verso Israele, che ogni ebreo può fare. Ora Fabio vive da solo a Gerusalemme. La sua Fede romanista, lo ha portato a diventare presidente del Roma fan club di Gerusalemme. Ha incontrato Francesco Totti, a Tel Aviv nei tempi d’oro. Nel club Roma di Gerusalemme ebrei ed arabi giocano, a pallone. Tutti insieme.
Fabietto è diventato una delle mie fonti principali, per raccontare la difficile normalità, che ogni giorno Israele cerca di conquistare.
L’inverno scorso abbiamo pensato questo libro, unendo le nostre passioni, il calcio e la politica, per parlare di sport e di vita
comune. Nel paese dove la pace, non è solo un esercizio retorico, è una scommessa quotidiana, come andare a fare la spesa, o anche uscire di casa.
Sabato 7 ottobre avremmo dovuto cominciare a scrivere, dopo la pausa estiva. Sabato era la festa ebraica di Sukkot, la festa delle Capanne. Le famiglie si riunivano per riaprire insieme il Libro della Vita. C’era un caldo anomalo qui in Italia, anch’io mi stavo preparando ad un matrimonio, una festa di famiglia, ma sentivo che qualcosa non andava.
L’allarme corre su Facebook, non ci voglio credere. Centinaia di missili di missili su Gerusalemme. Morti per le strade. Consulto tremando le mie fonti più vicine. Me lo confermano. Supero lo shock e lo smarrimento che mi annichilisce e tento di chiamare Fabio su whatsapp.
Non mi risponde.
Arrivo alla sala ricevimenti in preda un panico che mi fa sudare.
Fabio è solo. Fabio è disabile. A Gerusalemme sotto attacco.
Passano le ore. Cerco di concentrarmi sulla festa di matrimonio.
Finalmente un messaggio: «Miki sto bene, tutto ok. Qui sono al sicuro. Ci sentiamo domani».
Il giorno dopo lo richiamo dal mio studio. Entrambi cerchiamo maldestramente di stemperare lo stress, parliamo di donne: «Allora, scriviamo oggi, te la senti?»
«Miki, non posso andare nella stanza del computer. Se suona l’allarme devo stare lontano dalle finestre. Il nostro sogno di un gol per la pace è interrotto almeno per ora. Hanno appena sgozzato 200 ragazzi a un rave party…!».
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