Se vogliamo ritrovare ció che siamo, riscoprire le nostre radici, camminiamo lungo i luoghi che amiamo.
Magari proviamo a fermarci, ad ascoltare il silenzio straniante di una chiesa, che ti respinge appena entri e ti abbraccia, subito dopo, quando guardi verso il centro; e vieni irresistibilmente calamitato dall’altare.
Se facciamo questa passeggiata, discendendo la gravina di Ginosa e fermandoci nella Chiesa Matrice, scopriremo una dimensione che ci appartiene da sempre, ma che non sapevamo di avere, fino a quel momento.
Se accarezziamo con lo sguardo, entrando, la navata destra, fino in fondo verremo irrimediabilmente attratti dall’azzurro e dal rosso, su fondo nero e marrone, della Madonna incinta, un dipinto, che secondo gli studi condotti e gli espertise, di rinomati critici d’arte, sarebbe di scuola francese; e risalirebbe al XVIII secolo.
Al di là dell’intrinseco pregio e valore artistico, il quadro riannoda il filo rosso di una tradizione popolare contadina che si innesta sui culti ancestrali legati alla grande Madre Terra e rivenienti in tanto nostro matriarcato agreste, scandito dalle cerimonie di mietitura, ma anche dal pianto rituale delle prefiche, indagato, tra gli altri, da Ernesto De Martino.
Ma questo percorso interiore ab origine, che ci rapisce in ogni angolo della Chiesa Matrice di Ginosa, ha un altro elemento caratterizzante, che sovrasta la pala d’altare, in corrispondenza dell’ organo settecentesco. L’iconografia ritrae una Madonna che allatta il Bambino, a rilievo dell’organo stesso; questo rappresenta quasi un Unicum, poiché all’epoca risultava tassativamente vietato ritrarre le nudità e i momenti intimi, che pure erano molto presenti nelle nostre società contadine.
Il culto delle messi, è peraltro parte integrante di Ginosa, se si fa fede alla religiosità identificata della chiesa della Madonna Dattoli, eretta proprio a protezione dei raccolti, che si richiama anch’essa alle pratiche di benedizione e di fertilità della terra, su cui veglia, inglobandole e vivificandole, in una spiritualità rinnovata, il Cristo pantocratore, situato dietro l’altare della piccola chiesa di campagna di Ginosa, che ora gode di un ritrovato splendore.
Come si vede, i luoghi ci parlano, le nostre radici, sono fuori e dentro di noi, da sempre; basta solo riscoprirle, sperando che la pandemia ci dia tregua; e perchè no, facendo un salto a Ginosa E tuffandosi ancora una volta, nell’incanto della Gravina.
Michele Pacciana
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