
Siamo stati prepotentemente catapultati nell’era digitale. Anch’io guardo i film sulle nuove reti a pagamento o sullo smartphone, ma mi manca molto il cinema. Come una ferita aperta e non rimarginata.
Anche noi, a, Ginosa, abbiamo sempre avuto il nostro “Nuovo Cinema Paradiso”. Non ricordo se ci fossero sale di proiezione parrocchiale, con il prete severo e bacchettone che oscurava i baci con un colpo di scopa. Per me bambino, ragazzo o adolescente, il sogno di celluloide, sbirciato al buio, oltre una tenda di velluto rosso, aveva un solo nome: Francesco, Ciccillo, Maggiore.

Era un uomo basso, ma sempre impettito ed elegante. Con la cravatta perfettamente annodata su un abito all’ultima moda, preferibilmente blu, o gessato. Ti guardava dall’alto del bancone della biglietteria e ti apriva le porte di un mondo. I suoi profondi occhi celesti, dietro le lenti cerchiate d’oro, erano capaci di costruire piccoli sogni di realtà.

Aveva cominciato dal niente, per lui lavorare non significava solo accumulare, ma anche disegnare una prospettiva, guardare oltre e immaginare il futuro, che era già oggi.
La prima tappa, fu un negozio di mobili. Da ragazzo era stato commesso nel negozio di mio nonno, Leonardo Giannini, che vendeva le migliori stoffe di Ginosa. La mia famiglia ricorda come, già da allora, fosse molto intelligente e perspicace. Aveva un vero e proprio bernoccolo degli affari.
La sua fortuna l’ha costruita giorno per giorno. Non si fidava del delle banche, non faceva investimenti a lungo termine, come raccontano i figli Pino e Mariella. Come un saggio contadino, che accantona le masserizie in magazzino, lavorava sodo e non si risparmiava. In casa non c’era quasi mai. Di notte programmava le attività del giorno dopo. Pagava il vecchio e comprava il nuovo, per lui anche il rischio era calcolato. Non faceva mai il passo più lungo della gamba. I grandi imperi si costruiscono lentamente. Quando arrivò il boom economico, negli anni 60, a lambire anche Ginosa, lui era pronto.
Aveva inaugurato la prima sala ricevimenti degna di questo nome, la sala Olimpia, aveva costruito un suo cinematografo, aveva rilevato un vecchio cinema dall’anziano gestore, il signor Giovanni Pizzulli, suo antico rivale in affari. In breve era diventato proprietario di tre sale cinematografiche, nei punti strategici del paese. Le adattava ai gusti del pubblico, suddiviso per età. Ora il sogno si poteva ingrandire.
Nel 1964 cominciarono i lavori di quello che sarebbe stato per tutti i ginosini, il teatro e il cinema per antonomasia: il nostro cinema. Il Metropolitan. A Ginosa come a New York.
Furono impegnate le migliori maestranze del circondario, il sogno di un grande teatro significava lavoro per tutti, per chiunque avesse braccia e mente da impegnare.
La leggenda metropolitana narra che lo stesso Ciccillo Maggiore, in un gesto scaramantico e apotropaico, abbia nutrito le fondamenta della nuova costruzione, rompendo un grossissimo salvadanaio pieno di cento e di 10 lire. Sarà vero? Anche questo rientra nei sogni del cinema.
Il nastro dell’inaugurazione fu tagliato il 22 aprile del 1967, dalla figlia Mariella, al massimo del suo giovanile fulgore, con i capelli che ricordavano Audrey Heburn. La bamboletta di babbo, come la chiamava lui, con il suo ruvido e immenso affetto di uomo pratico.
Il discorso di insediamento, dopo la benedizione di padre Paolo Bergamini, parroco del Cuore Immacolato di Maria, fu affidato al professor Marcello Calabrese. Le due file di palchi in legno istoriato, si illuminarono d’incanto, il loggione rumoreggiò del primo brusio di approvazione, il sipario si alzò sugli sguardi attoniti della platea, tutto esaurito in ogni ordine di posti. E la magia ebbe inizio.
Allora andavano di moda i western. Contadini ed impiegati, ma anche ragazzi con i piedi scalzi e garzoni di bottega, inforcavano le biciclette per inseguire i duelli nelle grandi praterie, tra Gary Cooper, Marlon Brando e Tyron Power. Proprio in quegli anni, quasi ruggenti, un giovane regista italiano muoveva i primi passi negli spaghetti western. Si chiamava Sergio Leone, avrebbe inaugurato un genere e creato capolavori.
Il Signor Maggiore era un grande imprenditore, non aveva certo la vocazione del filantropo. Ma quando si è trattato di promuovere iniziative sociali, per la crescita culturale ed umana della comunità, non si è mai tirato indietro. la prima edizione della Passio Christi, ideata da Lucio Paolo Bressan e dai monfortani, si svolse la gratuitamente nella sala Olimpia. E il Metropolitan ha ospitato tutte le edizioni della ciliegia d’oro negli anni favolosi di Pippo Baudo, Maria Giovanna Elmi e Raffaella Carrà.
Ma l’intuizione di Ciccillo Maggiore doveva andare ancora oltre. Grazie a lui, a Ginosa arrivò, d’intesa con il Comune, anche il grande teatro. Il palcoscenico del Metropolitan è stato calcato da attori come
Manuela Kustermann, Mariano Rigillo, Beppe Barra, Adolfo Coeli, Regina Bianchi, Lella Costa e Luigi De Filippo nelle indimenticabili serate del teatro pubblico pugliese.
Ma tutto questo non sarebbe stato mai possibile, senza l’aiuto della moglie, la compagna di una vita, Eugenia Sangiorgio, che lavorava e consigliava nell’ombra. Era sempre lei ad avere l’ultima parola. Come quando, racconta Mariella, fece cambiare l’intero soffitto del teatro perché non le andava a genio.
Arrivò la grande crisi degli anni 80. Le luci si spensero e ci fu il boom delle videocassette. il Signor Maggiore, che intanto aveva anche conquistato il titolo di cavaliere del lavoro, non si perse d’animo. Il rifugio sicuro per superare le secche di un periodo nero, furono i film di cassetta, le pellicole erotiche e vietate. Aveva assicurato un futuro florido ai suoi due figli. Con una laurea prestigiosa alla Bocconi di Milano, Pino, cresciuto nella biglietteria, non c’erano vacanze quando tornava dall’università, ha preso in mano il negozio di mobili e il teatro Metropolitan. Gli altri cinema sono stati via via dismessi, ma il gioiello di famiglia doveva essere mantenuto. Anche a costo di grandi sacrifici. A volte non si riescono a sostenere neanche le spese ordinarie di manutenzione.
Il Metropolitan è stato rimodernato. Molti ce lo invidiano. Ma sono in pochi a sostenere un sogno. Sarebbe un peccato imperdonabile perderlo. Ora si spera nei fondi europei. Come dice Pino Maggiore, quello che ci ripaga il sorriso di un bambino con gli occhi trasognati di un innamorato. Ma non basta. E sul sipario vuoto, cala un velo di tristezza. Non ci si può arrendere. Ciccillo Maggiore non l’avrebbe fatto. Mai.
Il nostro piccolo grande gioiello, è chiuso da tempo. Pino Maggiore, ha lottato fino all’ultimo per tenerlo aperto, poi si é ammalato. Ora sta meglio, ma vive tra Ginosa e Milano, dove si sono trasferite le figlie.
L’intera struttura del cinema teatro, da 700 posti é in vendita. Non so se ci siano trattative serie in atto. Questo attiene alla privacy della famiglia proprietaria.
Tuttavia lancio una proposta, mi piacerebbe che si formasse una cordata di capitani coraggiosi, magari un consorzio di imprese pubbliche e private, che se possibile, rilevasse l’intero stabile e riavviasse la macchina dei sogni.
Forse è un’utopia. Ma io ci credo ancora. Per questo ho riproposto, quasi con le lacrime agli occhi, questo mio vecchio articolo.
Michele Pacciano
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