Basta farsi un giro, anche di prima mattina, in un paese semi assopito, che sembra incattivito e arrochito, come un vecchio fumatore, ormai rassegnato, per rendersi conto di una situazione che sfugge al controllo, o che spesso non vorremmo monitorare e neanche vedere.
In fondo, come molte altre piaghe nascoste e purulente, che ti passano accanto, è meglio fingere di credere, che anche questo, non sia affar nostro.
Eppure le vediamo, le code circospette ai tabacchini, in attesa di un gratta e vinci fortunato, che magari ti mangia decine e forse centinaia di euro al giorno, o anche le frotte di disperati, rintanati in pieno giorno nelle sale Snai, non c’è differenza tra giovani e anziani, operai o imprenditori, immigrati e italiani. Uomini o donne, giovani o vecchi.
Tutti giocano tentando la sorte, ma sapendo che in realtà si tratta di un’ultima spiaggia, una fame chimica di autoaffermazione, che si nutre della perdita e del distorto spirito di rivalsa, per poi cadere nel baratro di una forte dipendenza psicologica, se non psichiatrica, che sta dissanguando intere famiglie e nella quale, Anche noi, abbiamo rischiato di rimanere vittime, se non ci fossimo fermati sulla soglia dell’Abisso, forse illuminati da quello che restava di un barlume di coscienza; e non ancora irretiti dalla grossa vincita magari, anche milionaria, consumata in pochi mesi, da un amico carissimo.
Dalla schedina, al sistema di gruppo, alla macchinetta del bar, su cui si allunga forse, anche qui, l’ombra della criminalità organizzata, si rischia di infilarsi nello stesso, identico budello nero.
Nel lock down, il fenomeno non si è fermato, anzi. È solo mutato. Ha cambiato pelle e mezzi Durante la pandemia, secondo gli ultimi dati, sono aumentate a dismisura le scommesse on-line, nel chiuso delle case davanti allo schermo di un computer che diventa panno verde.
Nessuno ha realmente il polso di questo immenso vuoto esistenziale ed economico. Pieno nutre le mafie e il giro dell’usura.
Nessuno ne parla, nè Ginosa né altrove. Qualche volta si alza, come nel deserto, la voce di qualche prete di frontiera.
In diocesi, anche da noi, c’è un gruppo che se ne occupa. Potete bussare e vi sarà aperto, in perfetto anonimato.
Uscire da questo inferno è difficile, ma si può, anche qui. Anche a Ginosa. Basta un momento, un ultimo briciolo di coraggio, per guardare il mostro negli occhi e chiamarlo con il proprio nome:Ludopatia, dipendenza dal gioco. Dalle macchinette infernali, che ti trascinano nel grande inganno.
Provateci, proviamoci. Basta un attimo di luce. Prima che sia troppo tardi. E magari arrivi un gesto estremo. Come forse, purtroppo, è già successo.
Michele Pacciana
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