Oggi lo conosciamo come museo civico, a ridosso della chiesa dei Santi Medici, quando si scende per Corso Vittorio Emanuele, oggi quella è la sede di una scommessa culturale a cui tutti dovremmo contribuire, ma che ancora stenta a decollare, come un vecchio ascensore che fin dalla sua costituzione, non ha mai funzionato e ve lo possiamo provare per testimonianza oculare diretta, che non ci ha mai permesso, se non con l’aiuto di molti volontari, di salire a fatica e di seguire, quando era possibile, una vita fa, prima del covid, convegni e dibattiti di un certo spessore.
Eppure il museo civico era ed è un pezzo di storia di quella Ginosa, o nostalgicamente esaltata, oppure colpevolmente dimenticata, ma mai realmente indagata tranne una pregevole eccezione rappresentata dal libro di Augusto Pardo, sul feudo di Ginosa.
Quello era il vecchio municipio di Ginosa, prima convento e poi carcere. Li forse sono stati condotti per un primo interrogatorio I briganti catturati da Luigi Miani in una delle tante operazioni organizzate dalla guardia nazionale, che lui comandava per arginare e reprimere il fenomeno del brigantaggio.
Il romanzo della storia di Ginosa, tutto da verificare, narra che quando lì c’era un convento, una monaca di nobili origini e di rara bellezza, fu ammaliata dagli sguardi di un giovane ufficiale e scappó con lui, cedendo all’amore e gettando il velo alle ortiche.
Tutti sappiamo come il municipio, il 4 novembre 1922, fu ascoltato dai fascisti e lasció vittime sul terreno.
Di queste storie, quei muri parlano ancora, se li sappiamo ascoltare. Di questi avvenimenti, noi dovremmo fare tesoro e da qui essere capaci di ripartire.
Ce la faremo solo se insieme prenderemo realmente così già di quello che siamo. (mip)
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