Un ragazzino di 13 anni è morto a causa di un petardo. Se l’è portato via quest’anno terribile, mentre cominciava un 2021 dalle speranze incerte. È stato forse una delle pochissime vittime dei botti di questo capodanno in lockdown.
La notizie è passata quasi sotto silenzio. Questo ragazzino era di etnia Rom, viveva alla periferia di Asti, in un campo nomadi.
L’integrazione delle comunità Rom Sinti e Caminanti in Italia, è uno dei tanti problemi che fingiamo di non vedere, barricandoci dietro opposti stereotipi.
Per una volta dal Sud e da Laterza, viene un esempio di normalità positiva che va avanti da anni, se non da secoli. Un nucleo di famiglie di etnia Rom risulta iscritto nei registri parrocchiali di Laterza sin dal 1400, ben due secoli prima che la Madonna Mater Domini apparisse al pastore Paolo Tria, dopo la moria delle pecore del marchese D’Azzia, nel gelido inverno del 1650.
I primi Nomadi a Laterza si insediarono attorno alla Fontana Vecchia ed erano mercanti di cavalli e maniscalchi. Ora quella tradizione rivive nelle tante macellerie di carne equina presenti nella cittadina adagiata sulla Murgia. Le ultime generazioni sono perfettamente integrate, lavorano come macellai, ma anche come intonachisti e piccoli imprenditori. Qualcuno si è anche brillantemente laureato. Laterza anni fa ha concesso la cittadinanza onoraria a Santino Spinelli, ambasciatore della lingua e della cultura Romanì in Europa e nel mondo.
L’osmosi tra Laterza e la comunità Rom è stato un processo del tutto naturale. Le nostre nonne raccontavano che mentre gli uomini erano per lo più occupati nel commercio di cavalli, le donne vendevano pentole di rame e ferri per fare la pasta in tutti i paesi del Territorio.
Ormai l’integrazione è un dato acclarato, tanto che alcuni esponenti della comunità, pur serbando nel loro intimo l’orgoglio delle proprie origini, evitano di parlarne pubblicamente.
Allora, perché non prendere esempio da una politica che da anni si affida al confronto e al buon senso, senza proporre piani tampone, ma guardando negli occhi i propri cittadini da qualunque parte vengano, senza cedere al buonismo dell’ accoglienza a tutti i costi, ma avvalendosi di un’attenzione quotidiana e sistematica al sociale, che nel caso dei rom diventa normale cognizione di una comunità, che si rivela nel tempo parte integrante di una società e di un tessuto cittadino?
Forse se questo paradigma fosse applicato a livello governativo, con i dovuti distinguo, conterremo la piaga dei campi abusivi e della microcriminalità. O no? (mip)
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