“Il Piave mormorava, calmo e placido al passaggio, dei primi fanti il 24 maggio… !“
Ai più giovani, né questa data, né questa canzone, scritta da Ea Mario, per celebrare la vittoria contro gli austriaci e intitolata:”La leggenda del Piave”, diranno molto. Forse è anche colpa del tempo che passa, o del nuovo modo di studiare la Storia.
Eppure, fin dal 24 Maggio 1915, giorno dell’entrata in guerra dell’Italia, nel primo conflitto mondiale, anche Ginosa pagó il suo prezzo di morte freddo e fame.
Tanti giovani, ma anche padri di famiglia e richiamati, dopo la disfatta di Caporetto, persero la vita, o portarono per sempre i segni sul corpo e nell’anima, delle bombe sul Carso.
I caduti ginosini furono 161. Il più alto in grado, deceduto sul Carso, di Ginosa, come riporta nei suoi studi il generale Michele Galante, fu il maggiore, Giulio Calace.
Federico Carrera, era un giovane muratore, un ragazzo del 99, col senso dell’umorismo e la passione per la chitarra. Fu sbattuto in in trincea e riuscì a tornare incolume dalla guerra. Sposò Adelina Luisi, sarta di Ginosa e con lei costruì una bella famiglia e un pezzo di futuro. Si arruoló in Finanza. Non sapeva, che ne avrebbe fatta un’altra di guerra.
Vincenzo Perrone, detto Cenzino, era un ciabattino dalle mani d’oro, faceva le scarpe ai nobili di Ginosa. Suonava la grancassa nella banda del paese, adorava la Norma di Bellini e aveva un unico rimpianto, quello di non aver potuto continuare a studiare, pur essendo arrivato a frequentare la sesta classe elementare. Un vero record per l’epoca. Quando fu richiamato alle armi, Cenzino aveva 34 anni, già sposato con moglie e figli, sì beccó una bomba all’iprite.
Lottò per mesi tra la vita e la morte. I Carabinieri di Ginosa stavano già per andare a casa sua e darlo per deceduto, poi sua moglie, Chiara Schinaia, detta Chiarina, ricevette una cartolina, dalla grafia malferma: «Sono ferito, ma sto bene…». Lei disse che era stato salvato dell’intervento di San Francesco da Paola, di cui nell’ultima lettera, gli aveva mandato una figurina. Quando tornó a casa, la moglie non lo riconobbe subito, aveva tutta la pelle della faccia squamata e rosa. Avrebbe portato per tutta la vita, sul viso, una volta bellissimo, i segni della bomba.
Alla fine della guerra avrebbero sofferto la fame sarebbero stati costretti a emigrare a Noci, in provincia di Bari.
Ginosa ha avuto anche il suo eroe nella Grande Guerra: si chiamava Vito Busto, da solo avrebbe difeso sui monti una mitragliatrice, sottraendola agli austriaci.
Ho raccontato queste tre storie emblematiche, perché la guerra non rimanga, un nome su una lapide. Perché forse ogni famiglia ha una storia da raccontare.
A proposito, Cenzino Perrone, era il mio bisnonno.
Michele Pacciana
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