Stamattina si è svegliata l’Italia dei senza caffè. Senza quel momento magico in cui in pochi sorsi e pochi istanti il mondo si ferma e possiamo gustare la nostra bevanda preferita, da soli o in compagnia di amici e colleghi. Nel bar di fiducia, dove il barista ti accoglie come uno di famiglia. Si prende il caffè non solo per il gusto di berlo, ma anche per il gusto di scambiare due chiacchiere, prima di tuffarsi nel lavoro, a voce alta e gesticolando, come capita a noi meridionali.
Il caffè è molto più di un caffè, è sacra pausa, è tempo sospeso. Perché il caffè è luogo di incontro, casella postale, bacheca informativa, sala di lettura, zona di esposizione, campo politico, spazio di flirt, territorio di musica, oasi di relax, ambito culinario, salotto di conversazione.
Il caffè è bevanda e luogo sociale, democrazia e uguaglianza. C’una partecipazione che nasce attorno alla tazzina di caffè. Che unisce a prescindere dalle differenze di classe, di etnia. Chiunque è libero di entrare nel luogo sociale del caffè cioè il bar che si fa palestra di società, di condivisione, attorno alla tazzina.
Un rito immancabile, entrato pienamente nell’immaginario collettivo, nella nostra dimensione di comunità. Il bar e il caffè sono due elementi dello stesso spettacolo. L’uno ne rappresenta il teatro e negli anni viene arredato e organizzato per offrire la scenografia perfetta per il protagonista, cioè l’altro, il caffè espresso.
Il banco del caffè – ha scritto il sociologo Massimo Cerulo – rappresenta la socialità italiana, che è un po’ come l’onda del mare, lambisce e si ritira, si apre e si chiude. Il bancone del bar è una linea di confine che permette di incontrare il barista e gli altri frequentatori se lo vogliamo, ma ci consente anche di restare chiusi nel nostro privato, concentrarci sul consumo veloce in tre-quattro minuti, se non siamo in cerca di socialità. Possiamo diventare tutt’uno col banco, stanziali, a caccia di socievolezza. Alimentiamo la nostra sfera pubblica, costruiamo capitale sociale: il caffè al banco diventa motore di pettegolezzo. Immaginiamo il bar di provincia, ma non solo, che mette in scena lo spettacolo dei personaggi da bancone.
Ci manca già questo rito che offre certezza, rassicura, dà il senso di essere radicati nel un quotidiano. Il bar è un punto di riferimento con i suoi aromi, i suoi volti, gli arredi, i rumori. L’espresso ha glorificato il caffè, lo ha reso umano, lo ha reso parte del vivere umano, una sorta di amuleto profumato o di abbraccio conosciuto. In una fase come quella che stiamo vivendo, questo suo valore è ancora più forte e indispensabile. Diamo il benvenuto anche al caffè tra le nostalgie del tempo del coronavirus.
Valentino Losito
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