Lo chiamavano il brigatista poeta. Fece parte della banda Cavallero. Era nato a Castellaneta
E’ morto a Bologna Sante Notarnicola, aveva 82 anni. Lascia la moglie Delia. Si era ammalato di Covid, ma era riuscito a guarire. E’ scomparso per complicazioni di salute comparse successivamente. E’ stato un ex terrorista della banda Cavallero, ma anche poeta e oste in via del Pratello, strada dei locali del centro.
Nato a Castellaneta (Taranto) nel 1938, aveva trascorso la prima infanzia fra miseria ed emarginazione sociale. Abbandonato dal padre, finisce in un Istituto per l’infanzia abbandonata, dal quale esce a 13 anni per raggiungere la madre, nel frattempo emigrata a Torino. Nel capoluogo piemontese, in giovinezza, si legò a gruppi rivoluzionari e anarchici.
Il 16 gennaio 1967, nel corso di una rapina a Cirié, la banda di cui rapinatori di cui faceva parte uccise il medico Giuseppe Gajottino. Il 25 settembre 1967, quando fu preso d’assalto il Banco di Napoli a Milano, la Polizia intervenne e in una sparatoria morirono quattro persone. Notarnicola e Cavallero vennero arrestati il 3 ottobre dopo la fuga e l’8 luglio 1968 furono condannati all’ergastolo. Le gesta del gruppo di rapinatori ispirò il film Banditi a Milano. Cavallero era interpretato da Don Backy.
Nel 1978 il suo era il primo nella lista dei 13 nomi indicati dalle Brigate rosse come detenuti da liberare in cambio del rilascio di Aldo Moro. In carcere fu protagonista di numerose rivolte per ottenere migliori condizioni detentive. Studiò e iniziò a scrivere, pubblicando libri, il primo fu ‘L’evasione impossibilè e scritti poetici’. Seguirono le raccolte di poesie “Con quest’anima inquieta” e “La nostalgia e la memoria”. Da metà degli anni Novanta in semilibertà ha iniziato a gestire il pub Mutenye in via del Pratello. Dal 2000 era un uomo libero.
Il sito Contropiano.org, giornale comunista online, lo dipinge come “ragazzo del Sud, lavoratore, ‘bandito’ (come disse al momento dell’arresto), prigioniero politico, poeta, maestro di vita e di rigore morale”. Era un “comunista per scelta di vita e cultura, non per appartenenza organizzativa. Era rientrato a casa pochi giorni fa, a Bologna, che era diventata la sua città dopo l’infanzia a Torino e 21 anni di peregrinazioni nel ‘circuito dei camosci’, come si usava chiamare le carceri speciali”.
(Il Resto del Carlino)
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