Bari – Sono 7 i ricorsi contro i risultati delle elezioni regionali che il Tar di Bari discuterà giovedì 14, potendo potenzialmente stravolgere le decisioni della Corte d’appello. Il tema più importante riguarda il premio di maggioranza: se cioè il centrosinistra abbia diritto a 29 seggi (come ha deciso la commissione elettorale in base a una interpretazione «innovativa» delle norme) o solo a 27 come accadrebbe se, in analogia con il passato, dal totale dei voti della coalizione venissero sottratti quelli delle liste che non hanno superato lo sbarramento del 4%.
Sulla maggioranza a 27 seggi sono incentrati i ricorsi (quasi uguali) di Vito De Palma, candidato di Forza Italia, e di Antonio Scalera (Puglia Domani, civica di centrodestra) ma anche – seppure in via subordinata – quello di Domenico De Santis, l’ex consigliere del presidente Emiliano (quarto in graduatoria nel Pd di Bari) che, dunque, va al Tar contro i compagni di partito: l’accoglimento del suo ricorso costerebbe il posto a Michele Mazzarano e Ruggiero Mennea, ma anche a Peppino Longo, Mario Pendinelli e Francesco La Notte, a favore di De Palma e Conserva.
Il valore politico della vicenda è dunque enorme, perché ne va (potenzialmente) della tenuta della coalizione di centrosinistra: con 27 seggi (il 28° è quello di Emiliano) il margine della maggioranza si riduce a 5 voti e l’apporto dei «collaborazionisti» grillini diventa fondamentale. Per prassi nei giudizi elettorali gli enti non si schierano per l’una o per l’altra parte, ma si costituiscono solo per depositare i documenti. Stavolta invece la Regione, come accadde già nel 2005 (per Vendola, contro Fitto) ha preso posizione – tramite l’Avvocatura – applicando una delibera di indirizzo approvata il 7 dicembre dalla giunta su relazione di Emiliano: siccome l’applicazione del premio di maggioranza ha riflessi sulla governabilità dell’ente – dice l’atto – la Regione deve partecipare al giudizio «per difendere i risultati elettorali».
Cioè il premio di maggioranza pieno a 29 seggi.
La scelta fatta dalla Regione è pienamente legittima, per quanto – anche questo va detto – la tesi della «governabilità» finisce per coincidere con l’interesse del suo presidente Emiliano che, invece (il termine scadeva ieri sera) ha scelto di non prendere parte personalmente ai giudizi amministrativi che si discuteranno davanti alla Terza sezione. In fase di scrutinio Emiliano si era invece costituito in proprio davanti all’Ufficio centrale elettorale, con una memoria (del suo delegato, il professor Giuseppe Morgese) che insisteva proprio sui 29 seggi.
Il premio di maggioranza pieno (29 seggi), secondo la legge elettorale pugliese, spetta alla coalizione che supera il 40% dei voti. Ma il punto è su come debba essere calcolato quel 40%: una decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 1997 dice infatti che nei sistemi proporzionali con premio di maggioranza le soglie di sbarramento «non possono che rilevare ad ogni effetto, ovvero per qualsiasi riparto in cui si articoli il procedimento di attribuzione dei seggi». Tradotto: i voti delle liste che non hanno superato il 4% non concorrono al calcolo della percentuale di coalizione.
Questo principio è stato applicato, ad esempio, nel 2015, ma anche nei calcoli del ministero dell’Interno (quelli che appaiono sul sito Eligendo dopo le elezioni, e che non hanno valore ufficiale). Stavolta l’Ufficio centrale regionale (la Corte d’appello di Bari) non ne ha tenuto conto: diversamente Emiliano si sarebbe fermato al 29% e dunque avrebbe avuto 27 seggi. Spetta ai giudici amministrativi sbrogliare la matassa.(La Gazzetta del Mezzogiorno)
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