Una ragazza coraggiosa ha scelto di rimanere al Sud e farsi curare al Moscati. Il padre: «Abbiamo avuto prova che la nostra fiducia era stata ben riposta»
TARANTO – A Sud, come una strada da seguire. La protagonista di questa storia, oggi è una giovane ricercatrice che in Spagna sperimenta, con un team, protocolli di attività fisica come terapia adiuvante nel trattamento dei tumori cerebrali pediatrici. Qualche anno fa, ci è passata lei dalla via del dubbio e, al bivio, tra Nord e Sud, ha scelto di rimanere a Taranto per curare il linfoma. «La fiducia genera fiducia». Ha più volte affermato il padre, un eroe dei nostri tempi. «Perché – ha aggiunto – abbiamo un bel dire, ma quando si tratta di me o di mia figlia, meglio andare al Nord. Eppure ci siamo fidati dei medici ai quali abbiamo chiesto se al Moscati avrebbe potuto svolgere tutto il percorso diagnostico prima e terapeutico dopo. Loro ci hanno dato certezze. Solo dopo abbiamo avuto prova che la nostra fiducia era stata ben riposta».
Un racconto che approda sulla «Gazzetta», facendo eco alla pubblicazione sul nostro giornale della rivoluzionaria metodica Car-T che sfrutta il sistema immunitario dei pazienti e, ad aprire il cammino in Puglia, il reparto di «Ematologia» del Moscati. Il noto adagio «fidarsi è bene, non fidarsi è meglio» mal si concilia con la sanità. Individuare il proprio riferimento per la salute è intrinsecamente un atto di fiducia. «Mia figlia – così prosegue il racconto – ha sperimentato nella fase più dura della sua vita che cosa significa “essere presa in carico”, “prendersi cura della persona”, dettaglio che non è trascurabile rispetto alla cura della malattia stessa e lo ha imparato osservando i tanti modelli degli infermieri e dei medici con cui si è confrontata. E deve essersi appassionata così tanto all’idea di cura, da scegliere di occuparsi a sua volta dei ragazzi con tumore e del loro sviluppo fisico, emotivo, sociale. Ragazzi, le cui vite possono subire interferenze a volte gravissime a causa della malattia e degli effetti devastanti delle terapie o delle restrizioni conseguenti.
Questo suo amore che ha determinato il suo lavoro è frutto dei modelli di cura che hanno accompagnato il suo percorso di paziente. Modelli non perfetti, inossidabili ma credibili. E, leggendo la notizia delle Car-T – aggiunge – ho ricordato quei momenti oramai lontani. Queste notizie fanno crescere la nostra fiducia e, ancora, un’accresciuta fiducia percepita dai medici e dall’organizzazione spinge ancora più avanti le competenze e le performance dei sanitari e delle nostre strutture».
È un circuito virtuoso quello generato dalla fiducia che innesca una nuova attrattività anche occupazionale. Stando ad un modello di sviluppo che crede e investe nei giovani, riservando loro spazi di crescita, molti professionisti potrebbero tornare a casa. Forse ci vorrà tempo prima che possiamo abituarci a frasi pronunciate con coraggio, quali «ritorno al Sud», intanto, c’è chi ha scelto e non se ne è pentito di curarsi al Sud e oggi aiuta, con un progetto di ricerca internazionale, altri ragazzi a trovare la propria strada, quando tutto attorno è meno semplice.
«Una volta completati gli studi – rivela – mi ha confessato di voler tornare a Taranto, quella terra che qualche anno fa quando tutti correvano al Nord le ha restituito la fiducia verso il sistema sanitario».
Questa storia dimostra i paradossi della fiducia. Quella ragazzina e il suo papà hanno «svoltato» a Sud prima che la sanità tarantina mostrasse di essere all’altezza del caso. Da quella fiducia, ben riposta, oggi vi sono, un padre che riflette sul vissuto di famiglia con un sospiro di sollievo e una figlia che tra qualche anno sceglierà di arricchire l’offerta assistenziale della sua terra, per restituire la fiducia che le ha cambiato la vita.
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