I bambini sono stati protagonisti dell’ennesima manifestazione ambientalista a Taranto per chiedere la chiusura delle fonti inquinanti ed esaltare le bellezze del territorio e le alternative ecocompatibili. Un corteo colorato di giovanissimi atleti delle società sportive e dilettantistiche Ssd Support_o Taranto, Asd Virtus, Asd Polisportiva 74020, Dinamic Basket Taranto, Ash Baskin e Asd Cras è partito da piazza Immacolata per raggiungere piazza Garibaldi e dare avvio all’evento «Stop al sacrificio di Taranto», organizzato dal Comitato cittadino per la salute e l’ambiente. Il titolo della manifestazione fa riferimento all’ultimo rapporto Onu che cita proprio la città dell’Ilva come una delle «terre di sacrificio» definite «macchia sulla coscienza collettiva dell’umanità». In un passaggio del rapporto, il relatore sostiene che gli abitanti sono trattati come «usa e getta» e che queste «zone di sacrificio» sono spesso create dalla collusione di Governi e imprese.
I bambini sono arrivati in piazza mostrando una serie di striscioni con frasi che rappresentano veri e propri atti di accusa contro le istituzioni e cartelli gialli con la scritta «I love Taranto». In prima fila, vestito da gladiatore, c’era Andrea, un bambino affetto da una malattia rarissima, la mutazione del gene Sox4, uno dei soli otto casi al mondo, insieme alla mamma, Simona Peluso. Sulla cassa armonica liberty di piazza Garibaldi, dove si sono alternati gli interventi, erano affissi i manifesti «I bambini di Taranto vogliono vivere» e «Tutto l’acciaio del mondo non vale la vita di un solo bambino». La piazza non si è riempita come negli auspici degli organizzatori ma «al di là dei numeri – ha sottolineato Cinzia Zaninelli dell’associazione Genitori Tarantini – era importante tornare a far sentire la voce della comunità. Sembra che si stia muovendo di nuovo qualcosa, un nuovo periodo di consapevolezza da parte dei cittadini. Si ricomincia sempre daccapo, purtroppo a Taranto è sempre così». Anche «se comprendiamo – ha aggiunto l’attivista – che la maggioranza dei tarantini è stanca e sfiduciata, sappiamo che ora più che mai è conscia che l’acciaieria non porta più la ricchezza economica del passato, ma impoverimento, malattie, lutti e la fuga da tutta la provincia dei giovani. Il momento è adesso, non possiamo più rimandare».
Il cartello di associazioni ambientaliste un tempo si chiamava «Altamarea» e nel 2008 portò in piazza oltre 15mila persone. A urlare contro le emissioni velenose della grande industria, a dire basta al ricatto salute-lavoro, a rivendicare un futuro pulito. Gli anni passano e non mutano le rivendicazioni. Hanno portato la loro testimonianza Francesco Stola, presidente della società 74020 Volley e vice presidente Ash baskin; Emanuele Battista, referente del Progetto «Isola pulita»; la poetessa Anna Vozza; Luciano Carriero, imprenditore del settore mitilicoltura e fondatore del Centro Ittico Taranto; Carmelo Fanizza, presidente della Jonian Dolphin Conservation; Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink e portavoce del Comitato organizzatore. E ancora, la presidente dell’associazione Donne e Futuro per Taranto libera, Lina Ambrogi Melle; Rachele Invernizzi, vicepresidente nazionale di FederCanapa ad uso industriale e rappresentante di Terre Libere dai Veleni (Valle d’Itria); il dottor Valerio Cecinati, direttore del reparto di Oncoematologia pediatrica dell’ospedale Santissima Annunziata; Tiziana Magrì, Community Manager del progetto Lost in Education; e operatori del settore turistico. In sottofondo la canzone «Taranto libera», diventata orma il manifesto della città resiliente.
Gli organizzatori hanno ricordato i dati sugli eccessi di malattie e morte, lo studio sugli impatti neurotossici di piombo e arsenico sui bambini di Taranto più vicini all’area industriale, la Valutazione del danno sanitario che attesta un rischio inaccettabile anche con la produzione di 6 milioni di tonnellate all’anno (pur applicando tutte le prescrizioni previste dall’Aia), la recente sentenza della Cedu che ha emesso altre quattro condanne nei confronti dell’Italia per i mancati controlli sulle emissioni, i picchi di benzene rilevati nelle scorse settimane e l’aumento dei valori di benzo(a)pirene che, pur senza sforare la media annuale, rappresentano un ulteriore campanello d’allarme, e il “no” motivato della procura alla richiesta di dissequestro degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva.
Ad assistere alla manifestazione c’era anche Patrizia Todisco, ovvero il giudice delle indagini preliminari che il 26 luglio 2012 firmò quell’ordinanza di sequestro nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale chiamata «Ambiente Svenduto». Massimo Castellana, rappresentante legale del Comitato per la Salute e l’Ambiente, ha dichiarato che «solo dodici decreti legge hanno consentito a questa industria di continuare a produrre nonostante i provvedimenti della magistratura. L’unico caso al mondo. Dodici decreti tutti a favore della produzione, nessuna parola a favore della salute e della salubrità ambientale. E questo è uno scandalo tutto italiano che ci fa vergognare. Non ci sono cittadini di serie A e di serie B, ci sono i cittadini e i non-cittadini. I tarantini vengono considerati non-cittadini di questa nazione, vengono considerati possedimento di questa nazione, vengono considerati prodotti da usare e da gettare. Questo lo ha detto l’Organizzazione delle Nazioni Unite».
Cosa vuol «dire – ha spiegato Alessandro Marescotti di Peacelink – sacrificio di Taranto? Vuol dire che Taranto è stata scelta come area in cui compiere ciò che in altre parti d’Italia non è consentito. I dati statistici degli ultimi dieci anni indicano che c’è una mortalità osservata nella fascia 0-64 anni nel comune di Taranto che è costantemente superiore rispetto alla mortalità della Puglia. I cittadini unendosi, facendosi vedere uniti in piazza, possono fare la differenza, possono essere parte della soluzione, possono rivendicare il diritto alla vita e – ha chiosato l’’ambientalista – oserei direi anche il diritto alla felicità».
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