Scagionati 9 dirigenti finiti nell’inchiesta per il decesso del piccolo Lorenzo Zaratta. «La letteratura medica non consente di affermare una “correlazione causale” tra inquinamento e tumori del sistema nervoso centrale»
TARANTO – «La letteratura medica, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non consente di affermare la sussistenza di una “correlazione causale” tra inquinamento ambientale-atmosferico e tumori del sistema nervoso centrale, e segnatamente, dell’astrocitoma». È quanto scrive il giudice Pompeo Carriere nelle motivazioni della sentenza con la quale ha scagionato 9 dirigenti dell’ex Ilva di Taranto finiti nell’inchiesta per la morte del piccolo Lorenzo Zaratta, bimbo di soli 5 anni, ucciso il 30 luglio 2014 da un «astrocitoma». Per il magistrato, non ci sono neppure gli elementi scientifici che colleghino le accuse mosse agli imputati alla morte di Lorenzo e quindi le basi per avviare un processo.
GLI STUDI L’indagine era partita dopo gli studi che i consulenti dell’avvocato Leonardo La Porta che assiste la famiglia di Lorenzo, avevano portato avanti accertando la presenza di ferro, acciaio, zinco e persino silicio e alluminio nel cervello del bambino. Per i consulenti della famiglia la causa era «da ricercare nell’esposizione della madre durante la gravidanza». La donna, infatti, tra novembre 2008 e gennaio-febbraio 2009 aveva lavorato al quartiere Tamburi e stando a quanto scrive il giudice Carriere in quegli anni si è trovata «nella medesima situazione di esposizione» dei lavoratori dello stabilimento e in alcuni casi anche peggiore: la vastità dell’ex Ilva rende alcune zone del quartiere Tamburi più vicine alle fonti inquinanti di zone interne allo stabilimento che però si trovano a chilometri di distanza da quelle sorgenti velenose. Ma la semplice esposizione non basta a dimostrare che quel tumore – l’astrocitoma – sia stato causato dalle inalazioni di polvere che la donna ha poi trasferito al feto durante la gravidanza
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