Le parole hanno una loro importanza e un loro peso specifico, che parte dal suono e si distende nell’anima.
Il termine handicap ha un suono dirompente e lacerante, che sembra sbattere in terra, con un clangore di ferro e plastica bruciata, che raschia il cuore.
La parola disabilità è più morbida, melliflua e distensiva, forse più politicamente corretta, ma altrettanto corrosiva, come una ferita suturata, coperta da un lenzuolo bianco, che nasconde del pus all’interno. Al di là dell’impatto semantico queste parole perdono il veleno che hanno in punta, quando riconosci i nomi propri delle persone che vivono una determinata condizione, che per molti di loro diventa normale, per spirito di conservazione. Allora li guardi negli occhi e scopri Pierluigi, Alessandra, o Giorgio, che ti spiegano come la disabilità la vedi solo tu. E improvvisamente è sparita anche per te.
La verità è che l’handicap è una difficoltà che si frappone al normale svolgimento di una vita quotidiana, la disabilità è quella condizione di vita.
Comunque la si chiami è una situazione invalidante, che stanca soprattutto chi se ne prende cura. E la rabbia e la frustrazione di parenti e caregiver è un campanello d’allarme, un comportamento problema, che può sfociare spesso nel Burnout. Ma è anche il tentativo di ridurre tutto ad un equilibrio di normalità precaria, che può essere interrotta dalla necessità di qualcuno di andare in bagno, mentre qualcun altro, caregiver o parente, magari sta mangiando o solo guardando un film.
Ecco perché il disabile che può farlo, oltre all’iperprotezione, che proviene da un genitore anziano, deve poter elevare costantemente i propri margini di autonomia, perché l’eventuale dipendenza fisica non diventi mai dipendenza mentale.
Un ruolo fondamentale in questo senso, di progressiva acquisizione di un “Se”, individuale quanto più vigile e strutturato possibile, lo gioca anche l’acquisizione di autostima in un inconscio seppur destrutturato.
Uno dei migliori viatici in questo percorso di cura esperienziale é sicuramente rappresentato dai progetti di teatro, in cui la Persona, con disabilità, o normodotata che sia, acquista una consapevolezza positiva di sé, supera le proprie paure e il proprio isolamento solipsistico, si confronta e si rispecchia con l’altro, imparando controllare laddove è possibile indirizzare positivamente le proprie emozioni.
Questo vale ancora di più nelle persone con disabilità intellettiva e relazionale.
Con questo spirito di continua scoperta, sorpresa e giocosa sperimentazione, l’Anffas di Ginosa, ha organizzato un seminario di eccellenza all’approccio teatrale, presso il proprio centro in Contrada Madonna Dattoli, in agro di Ginosa.
A pochissimi giorni dall’esibizione della strepitosa Compagnia dei Celestini, è in corso un Workshop di Teatro
diretto da Pascal La Delfa,
regista, autore e formatore teatrale.
Pascal La Delfa è attualmente direttore artistico di “Oltre Le Parole onlus”, attiva nell’ambito del teatro come strumento di relazione.
È stato autore per la Rai –Tv e per la radio, fumetti, cortometraggi e testi teatrali.
Fondatore della prima scuola italiana per Operatori di teatro nel sociale, patrocinata dell’E.t.i. (Ente Teatrale Italiano) nel 2007: da allora si sono attivati diversi corsi in 7 regioni italiane, anche in luoghi di prestigio come il Piccolo Teatro di Milano.
«Occasione straordinaria di crescita per i nostri attori, operatori e volontari!» – rilevano i dirigenti di Anffas Ginosa non senza una punta di orgoglio e di legittima soddisfazione.
Il progetto si avvale anche della sempre preziosa partecipazione di TeatroLab – Restiamo Umani, Marika Tramacere, Anna Carbotti, Tiziana Mele.
#progettoricominciodatre
#pugliasociale
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Michele Pacciano
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