A Tonino
<<Il Sudamerica nelle tasche.
Ampi gesti nelle tue braccia.
Hai fatto viaggiare, anche solo con i tuoi racconti,
persone
che non l’avevano fatto mai.
Dal Guatemala all’Argentina,
da Rio a Bogotá.
Il film si srotolava regalandoci
sempre nuove scene.
Miope nella vista,
telescopico nell’animo.
L’invidia e il rancore dicevi
che non erano per te.
Hai sparso doni, sorrisi e compagnia
come semi,
trovando in essi una parte dei figli
che la vita
non ti ha dato.
La tua morte non basta
per dimenticarti.
E la vita che rimane
ci calzerà stretta
quando ti ricorderemo>>.
(Lelio D’Alconzo)
GINOSA – Il cuore tra Ginosa, la Marina, Rio de Janeiro e il mondo Giuseppe, Antonio D’Angelo, detto Tonino, era un uomo affascinante e poliedrico, che ti ammaliava al primo sguardo.
Professore, studioso e traduttore, critico letterario e fine organizzatore di eventi. Aveva cominciato insegnando nelle scuole medie, approdando alla docenza all’Universitaria, per poi diventare uno dei più apprezzati direttori degli Istituti di cultura italiana in mezzo mondo, dal Guatemala al Perù, al Libano all’Argentina, al Brasile.
Fu tra i primi traduttori di Andrea Camilleri dall’italiano al portoghese brasiliano.
La sua amica Dacia Maraini, che lo chiamava familiarmente, “Tonì”, con un nome di fantasia ne fece il protagonista di un suo romanzo. fra i più riusciti: “Dolce per Sé’.
Chiunque lo abbia conosciuto, ha un ricordo indelebile di lui. Ma il suo paese, Ginosa, lo ha quasi dimenticato. E pure un po’ snobbato. Come fa la piccola provincia nell’imbarazzo per i suoi figli illustri.
Tonino era anche l’uomo dei grandi silenzi. Che parlavano di libertà e schiudevano ampi spazi, catturati in uno sguardo e snocciolati di parole, che sgorgavano come perle di fiume in un ruscello di campagna, spruzzate di quella strana malinconia, che in Brasile chiamano saudade e si mescola dolcemente alla gioia di vivere.
Giuseppe Antonio D’Angelo, detto Tonino, classe 1929, partì da Ginosa con una laurea in lingue, conseguita a Bari, ed un’innata voglia di avventura e di conoscenza, che lo portava ogni giorno a sfidare la vita, a gustare ed affrontare ogni attimo con la stessa identica intensità, che si trattasse di una partita di poker o di un incontro con gli indios dell’Amazzonia, o con Dario Fo, Jorge Luis Borges, o il principe druso Walid Jumblatt, oltre la linea verde, sulle montagne dello Chouf, in Libano.
A tutti i ragazzi dagli anni 70 e 80 che lo hanno incontrato, ha aperto nuovi mondi,, quando tornava ogni anno nel suo Buen Retiro nella campagna di Lago Lungo, in agro di Ginosa, che diventava quasi un circolo letterario di quelli che poi Bertolucci avrebbe descritto nella campagna toscana di “Io ballo da sola”. Quasi a rimarcare la grande passione di Tonino D’Angelo per il cinema e per qualsiasi forma d’arte.
Così lo ricorda uno dei suoi allievi più cari e affezionati, di quando diventò direttore dell’Istituto italiano di cultura, a Rio de Janeiro in Brasile, Pietro Petraglia.
«Nel momento in cui ho bisogno di manifestare i miei sentimenti, continuo a voler fissare il mio sguardo negli occhi del mio interlocutore, perché veda quanto mi interessa il rispetto che sento nei suoi riguardi. Questa frase racchiude tutto il sentire di Tonino D’Angelo. Gli argomenti di cui si discuteva, a lezione, o fuori, erano i più svariati, dal titolo di prima pagina del giornale all’idea per un’attività culturale, ad una storia vissuta il giorno prima, alle sue relazioni amorose di gioventù, dalla sua convivenza con grandi nomi della letteratura italiana e sudamericana, agli esordi dell’uso illegale di denaro pubblico, italiano, o brasiliano.
Era saggio e aveva buone amicizie. Anche perché era impossibile conoscerlo e non lasciarsi affascinare subito. Lui passava, conquistava uno spazio dentro di noi volendolo o no, piacendoci o no. Questo perché, giusto o sbagliato che fosse, lui parlava di sentimenti e lo faceva con sentimento. La sua nobiltà risiedeva nella sincerità dell’animo. Non faceva distinzioni tra la gente. Frequentava tutti e parlava con tutti allo stesso modo. In uno dei suoi articoli ha detto: l’accettazione dei diversi, può essere la più elevata espressione della comprensione umana, mentre la discriminazione, di qualsiasi diverso, rivela il più basso livello di intelligenza.
In un altro testo, parlando della sua incapacità davanti al computer, ha detto:” Penso che la necessità di sentire le persone e tutti gli altri esseri viventi, sia legata alla mia infanzia vissuta in un piccolo paese, a Ginosa. Allora i contatti erano fisici e, quindi, diretti.
Le parole, erano essenziali per capirci o fraintenderci. Le espressioni, nelle nozioni verbali trasmettevano, quasi fedelmente, le emozioni di chi mi diceva parolacce, mi faceva complimenti o semplicemente mi diceva bugie.
Invece la chat, il chattare in Internet, risulta impersonale, distante, asettico. Ancora oggi, nel momento in cui mia moglie mi impone di inghiottire un insieme di vitamine geriatriche, forse temendo che io continui ad essere bambino e, di conseguenza, irresponsabile, provo nostalgia delle favole e dei racconti di mia madre, di mia nonna e di tutte le donne del vicinato che mi hanno reso uomo.
Continuo a desiderare di cadere nel mio sonno innocente, al suono delle loro voci che mi cullavano.»
Nato a Ginosa, nell’entroterra pugliese, nella zona occidentale del Tarantino, allo stesso tempo quando parlava delle sue chiacchierate con Jorge Luis Borges di quando aveva vissuto a Buenos Aires – non si dimenticava delle parole di suo padre “Paragonandomi agli altri membri della famiglia, da contadino autentico e irriverente che era, mi diceva che l’asino e la capra, che vivevano con noi, erano più intelligenti di me.”
Contrario ad ogni intolleranza, ha sempre lottato a favore dei meno abbienti e delle minoranze. Non aveva soldi, ma riusciva ad organizzare come pochi, qualsiasi cosa che rendesse felice il prossimo. Era capace di perdonare i suoi avversari e favorirli anche quando sembrava assurdo agli occhi degli altri.
Era stato militante del partito comunista, ma non per questo fingeva di non vedere gli errori che commetteva la sinistra. ‘A questa attitudine ad assumere posizioni dei chiamati valori etici comuni, rifletteva Tonino, non è sfuggito neanche il Partito comunista italiano, che, in un eccesso di fobia sessuale, caratteristica della mentalità fascista, espulse dalle sue fila il “diverso”, Pierpaolo Pasolini. Senza contare l’imbarazzo dal Segretario generale del Partito, Palmiro Togliatti quando decise di lasciare Rita Montagnana per mettersi con Nilde Iotti. Gravi errori.”
Malgrado tutto il suo bagaglio culturale, ha sempre scelto le cose più semplici, come quando una volta, parlando di coerenza, si è ricordato di un suo compaesano di Ginosa “A proposito di coerenza, mi viene in mente un personaggio protagonista delle lotte per la terra sostenute dai braccianti del mio paese, Ginosa: Raffaele Cavallo. Fu uno degli organizzatori della locale Camera del lavoro e componente dell’appena ricostituito partito comunista, occupazioni poco salutari allora, nell’immediato dopoguerra. Ad un amico, mandato dai latifondisti per comprarlo, che gli disse di non fare il fesso, e di stare tranquillo, Cavallo rispose: io credo nei miei principi e sono fedele al sogno di un mondo più giusto per tutti. Pertanto, siccome non sono disposto a cambiare idea, resto un fesso.”
Ecco, Tonino ha sempre cercato di essere coerente. Ha sempre creduto in un mondo migliore, ma in un mondo migliore nato dalla democrazia, dal rispetto verso il prossimo. Non riusciva ad ammettere le guerre degli Stati Uniti; e soprattutto la guerra del Vietnam. Non stimava molto i politici italiani. Dalla nascita dell’Italia repubblicana,
diceva, l’unico politico, italiano di questi anni, che ha osato opporsi allo strapotere statunitense, è stato Bettino Craxi, nel famoso episodio di Sigonella, dove per poco non vi fu lo scontro a fuoco tra marines e carabinieri.
Il suo grande amore, a parte le donne ed il gioco, rimaneva l’America Latina. E, in special modo, il Brasile. Era intimamente legato al popolo brasiliano. Aveva una grande speranza nel trionfo politico del presidente Ignacio Lula da Silva, tanto da scrivere: “nulla può realizzare ciò che è stato sempre detto nel continente sudamericano. Le vicissitudini di queste Terre, non hanno mai permesso che un sogno diventasse realtà. Forse questo è il momento storico tanto aspettato dalle masse diseredate latinoamericane, diventare cittadini e non sudditi. >>
Questo era, come ricorda Pietro Petraglia, il professor Tonino D’Angelo. Una mente pensante, un uomo scomodo, un marxista critico, al di fuori degli schemi. Un Signore, con la esse maiuscola, di cui tutti, a Ginosa e fuori, hanno un ricordo personale ed intimo. Come le sue frasi illuminanti che passavano indifferentemente dall’italiano più colto al dialetto più stretto, come ricordava, tra gli altri, un suo vecchio amico di infanzia, il macellaio di Ginosa Franceschino Dragone, detto ”Paciacca.
Anche Tonino, in paese, aveva diversi soprannomi: “Tonino Tarzan”, forse a causa del suo celeberrimo codino, che sfoggiava senza alcuna malizia o ostentazione, o anche, “Tonino Latino”, o ancora: “U professor!”.
Non somigliava a George Smiley, ma sicuramente sarebbe piaciuto a John Le Carré, perché era un uomo sfaccettato, ma senza compromessi, come i personaggi dello scrittore inglese che tanto attingevano dalla realtà.
Nel 1979 fu inviato in Libano. Per molti suonò come una punizione. Ma i ben informati raccontano che anche in quell’occasione aveva una complicata missione da compiere.
Era tra i pochi diplomatici ad avere il permesso di superare la linea verde, che divideva Beirut est da Beirut ovest. Conosceva tutte le fazioni in campo. Si dice che andasse a giocare a poker anche con il principe druso Walid Jumblatt, Tra una mano èl’altra, pare abbia raccolto preziose informazioni anche dai maroniti e dalle milizie palestinesi in lotta. Sicuramente aprì la strada alla missione di pace del contingente italiano che nel 1982 divenne la più importante cinghia di trasmissione per cercare una difficile via d’uscita a quel drammatico conflitto che insanguina il Mediterraneo da settant’anni.
Non era più lì, la notte della strage di Sabra e Chatila, ma quell’evento lo segnò profondamente. Questi, tuttavia, sono segreti che ogni uomo porta nel più profondo dell’animo.
Fedele a sé stesso, Tonino D’Angelo ha affrontato a testa alta anche l’ultima sfida, quella con un cancro che lo mangiava dentro. E che alla fine se l’è portato via, nel febbraio 2004.
Così rievoca gli ultimi momenti, il dottor Enzo D’Alconzo, l’amico di una vita, che si considerava una specie di suo fratello minore: <<Ho un tumore, mi dicesti a telefono senza preamboli. Poi sono venuto a Rio, per un ultimo abbraccio. Ora l’orologio si è fermato>>.
Ecco l’ultima carezza di penna di Dacia Maraini.
<<Il nostro amico Tonì D’Angelo se n’è andato. L’ho chiamato, qualche giorno prima al telefono. Sono contenta di averlo fatto, perché l’ho salutato. Aveva una voce flebile, ma ancora padrona di sé. Ho sempre apprezzato la sua capacità di sorridere del mondo e di sé stesso. Gli avevo chiesto quando sarebbe venuto in Italia e lui mi ha risposto: “non credo che tornerò più, mi dispiace, cara Dacia.”
Quindi sapeva di doversene andare, che la terra della sua sepoltura sarebbe stata brasiliana. Non è il primo e non sarà l’ultimo italiano che verrà sepolto sul suolo brasiliano. Il legame fra i nostri due Paesi in qualche modo sarà rinsaldato da questi morti che si sono portati un pezzo d’Italia e oggi ci salutano da lontano il diminutivo, Tonì, gli era stato dato dalla prima moglie, Dominique, che è morta prematuramente essendogli stata vicina per tanti anni. Li ricordo, tutti e due pieni di entusiasmo ed energia, anni fa a Rio de Janeiro, pronti a dare una mano a chi ne aveva bisogno. Mi ricordo la loro casa, sempre aperta agli amici, il loro impegno contro le dittature e i soprusi. Tonì era un uomo orgoglioso e battagliero, che aveva abbracciato le cause più difficili e minoritarie del grande continente sudamericano. Eppure le sue prese di posizione non erano mai lugubri, ma fatte con amore per la vita e una tolleranza che non sono mai venute meno. Con lui perdiamo un amico e un intellettuale sinceramente innamorato dell’America latina.
Forse, quelle Memorie, che gli amici gli chiedevano ogni volta che tornava a Ginosa, Tonino D’Angelo le meriterebbe davvero. Non come riconoscimento, ma a titolo di riappropriazione e di riscatto
La sua vita, per la fortuna di chi lo ha conosciuto, non è stata un romanzo.
Michele Pacciana
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