primi veri negozi di barbiere dell’antichità, forse nacquero in Puglia e in Basilicata, nelle colonie della Magna Grecia. Nei cenobi delle gravine della Murgia, si consumarono le dispute teologiche tra le tonsure dei monaci basiliani e le irsute capigliature degli eremiti e dei predicatori erranti.
«Quando i capelli sono diventati il centro della mia vita, facevo l’inviata alla sessantanovesima edizione del Festival di Sanremo dove Loredana Bertè affascinava il palco dell’Ariston con la sua chioma blu elettrico. Vedendola pensavo ai miei capelli lunghi, biondi; pensavo che dopo quella settimana avrei iniziato una terapia oncologica e li avrei persi. Per sette giorni e sette notti la preoccupazione per la chemioterapia mi ha ossessionata. Poi il giorno dell’inizio è arrivato.
Distesa su una comoda poltrona. L’infermiere mi consola, «Sai che questi bei capelli li perderai…». Il tono del suo avviso è mellifluo, suona sadico come le rassicurazioni della strega di Biancaneve e si assicura un posto nella mia memoria, tra le frustrazioni della mia infanzia. Ricordo il senso di alienazione, uno stordimento profondo
di cervello e ossa, l’ebete consapevolezza di sentirmi un puzzle sfasciato a terra in frammenti. Questo l’effetto collaterale della chemio, per dirlo con Alda Merini: «una fattura che abbrutisce lo spirito e la mente». Poi, una mattina i capelli non ci sono più, la faccia goffa nello specchio non è la mia, sembra Renée Jeanne Falconetti, la pulzella d’Orléans di Carl Theodor Dreyer. Senza capelli e poi senza più nemmeno un pelo, il tempo che impiego per diventare me ogni mattina è notevolmente aumentato. Non basta indossare la parrucca e uscire, bisogna prima disegnare le sopracciglia e marcare gli occhi senza ciglia. Il furto autorizzato dei capelli mi viene addosso
uno choc imprevisto. Avevo sottovalutato il lutto della perdita, quello per cui altre donne prima di me si erano sentite miserabili, afflitte, nude, umiliate, come le prostitute, le schiave e le streghe del Medioevo.
A me faceva sentire senza corrente, come quando nei teatri va via la luce e rimane la bassa tensione… ».
Un dramma, una spoliazione e una riappropriazione, quando i capelli sono ritornati, diventano per Elena Martelli, giornalista di lungo corso, il pretesto e l’ispirazione per raccontare la Storia,in una chiave originale e inedita, che risale la corrente nel tempo e nello spazio, attraverso il diverso modo di pettinarsi e di agghindarsi i capelli.
“All’aria sparsi”, non è un trattato di tricofilia. La scelta è chiara fin dal titolo, è un percorso emozionale, prospettico e fattuale nella storia e nella cultura dei capelli, la vera carta d’identità dei popoli, degli uomini e delle donne che hanno animato i secoli e le epoche, segnando modi di essere e di vivere.
I capelli ispidi dell’homo sapiens sconfissero le chiome fluenti e arruffate dell’uomo di Neanderthal, di cui si ha traccia consistente anche a Ginosa. Le acconciature sono veicolo d’amore e di erotismo, d’identità perduta e ritrovata, dal mito di Berenice, alle serpentine di Medusa, dalle invettive di Marziale, alle tragedie di Eschilo, a Charles Baudelaire, da Cesare a Napoleone.
Tagli,creste e parrucche hanno sancito cambi di potere, rivoluzioni fallite e riuscite, come i riccioli ribelli e sublimi di Leopardi e il cordino di suo padre Monaldo.
Le pettinature hanno gridato da sempre la voglia di libertà, i capelli lunghi dei figli dei fiori, la rabbia sorda, disincantata e autodistruttiva delle creste Punk, la ciocca morbida e sbarazzina di Masha Amini, che ha pagato con la vita la sfida alla tetraggine del velo islamico in Iran.
Scriveva Honoré de Balzac:«Se uno storico non considerasse la storia dei
capelli lunghi dei re franchi, la tonsura dei monaci, la rasatura del servo, la cipria aristocratica e il taglio alla Titus, mancherebbe il racconto delle principali rivoluzioni del nostro paese».
“All’aria sparsi” pag 264, 17,10 euro. Edizioni il Saggiatore
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