Il cyberbullismo è una piaga subdola che si consuma nelle stanze chiuse, o nelle chat. In passato l’allarme è stato lanciato anche a Ginosa e nei paesi della zona occidentale dell’Arco ionico.
Nel nostro paese c’è anche un centro d’ascolto sul tema.
Si abbassa sempre di più l’età in cui si possiede o utilizza uno smartphone, con un aumento significativo di bambini tra i 6 e i 10 anni che utilizzano il cellulare tutti i giorni dopo la pandemia: al Sud e nelle Isole la percentuale è passata è passata dal 28,3% al 42,8% tra il biennio 2018-19 e il 2021-22.
Nonostante questo utilizzo diffuso, nella mappa europea sulle competenze digitali dei 16-19enni, l’Italia si posiziona quart’ultima: la quota di giovanissimi con scarse o nessuna competenza è del 42% rispetto a una media europea del 31%. Il dato medio italiano nasconde ampi divari territoriali, con il Nord e il Centro più vicini ai valori medi europei (34% e 39%) e il Sud che ha oltre la metà dei ragazzi con scarse o nessuna competenza (52%). Se guardiamo ai giovanissimi che hanno acquisito elevate competenze digitali, gli italiani sono poco più di 1 su 4 (il 27%) a fronte del 50% dei coetanei francesi e del 47% degli spagnoli.
Questi alcuni dei dati della XIV edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio in Italia, dal titolo “Tempi digitali”, diffusi oggi da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro -, in vista della Giornata mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che si celebra lunedì 20 novembre.
L’Atlante è una fotografia dell’Italia in un tempo in cui, per la prima volta, la vita dei bambini è “datificata”, registrata e condivisa sul web, ed esplora le opportunità e i rischi che bambini, bambine e adolescenti stanno affrontando dentro la nuova rivoluzione dell’onlife e di una vita spesa tra reale e virtuale. E se da un lato emergono le conseguenze di una sovraesposizione al digitale, dall’altro ci sono anche quelle dell’essere esclusi dalla dimensione online, se non si ha accesso alla rete o si è privi di competenze. Nella pubblicazione di Save the Children, dati, mappe e interviste fotografano il bisogno di protezione per i più giovani mentre affrontano le “opportunità rischiose” della rivoluzione digitale in un’Italia che sconta ancora ritardi e carenze sulla strada per la transizione digitale, collocandosi al 18esimo posto tra i 27 stati membri dell’UE rispetto alla digitalizzazione dell’economia e della società[1]. Per quanto riguarda la connettività, le famiglie con accesso alla banda ultra larga[2] a fine 2022 erano il 52% (dato significativamente aumentato rispetto al 2016, quando erano appena l’8%), con differenze territoriali importanti. La rete ultraveloce con fibra fino all’abitazione raggiunge il 63% delle famiglie nella provincia di Bari e di Barletta-Andria-Trani, il 46% nella provincia di Taranto, il 42% a Foggia, il 34% a Brindisi e il 23% nella provincia di Lecce. Le famiglie ultraconnesse con accesso alla fibra FTTH (fino all’abitazione) rappresentano il 22% nella provincia di Bari, al 9° posto in Italia, il 10% nella provincia di Barletta-Andria-Trani, il 9,2% nella provincia di Brindisi, il 7% nella provincia di Taranto e di Foggia, e solo il 5% nella provincia di Lecce.
“Tra opportunità e rischi, questo Atlante dell’Infanzia vuole essere una fotografia delle luci e delle ombre che le nostre ragazze e i nostri ragazzi stanno affrontando nel percorso lungo le autostrade digitali. C’è chi è stato messo nelle condizioni di percorrerle in fretta e di evitare gli ostacoli, chi con quegli ostacoli si è scontrato e chi, invece, quelle autostrade le vede solo da lontano. La pandemia da Covid-19 ha segnato un punto di svolta nella transizione digitale: se da un lato la tecnologia ha acquisito una sempre maggiore importanza in ogni sfera di vita dei bambini con un aumento del tempo passato di fronte agli schermi di pc e tablet, dall’altra molti studenti risultano privi delle necessarie competenze per affrontare il mondo digitale. Occorre pertanto un’accurata analisi dei bisogni e delle lacune esistenti, unita a un intervento per contrastare la povertà educativa digitale, una dimensione della povertà educativa che priva i bambini e i ragazzi delle opportunità per apprendere, sperimentare, sviluppare liberamente capacità, talenti e aspirazioni, attraverso l’utilizzo responsabile, etico e creativo degli strumenti digitali. Inoltre, è fondamentale ridurre le diseguaglianze e agire affinché i ragazzi acquisiscano le competenze digitali necessarie: la tecnologia può e deve essere una grande opportunità di sviluppo e di democrazia, ma va resa universale e utilizzata secondo regole condivise, altrimenti rischia di acuire le diseguaglianze e creare un esercito di esclusi”, ha dichiarato Daniela Fatarella, Direttrice generale di Save the Children.
Nonostante la legge preveda che un utente possa avere accesso ai social solo dopo aver compiuto 13 anni, la realtà mostra una presenza massiccia di preadolescenti che hanno aperto un profilo indicando un’età maggiore o hanno usato quello di un adulto, spesso un genitore più o meno consapevole: il 40,7% degli 11-13enni in Italia usa i social media, con una prevalenza femminile (47,1%) rispetto a quella maschile (34,5%)[3].
Il tema non riguarda però solo i social e il problema della verifica dell’età è diventato centrale per chi si occupa di attività online: bambini e adolescenti utilizzano piattaforme, tecnologie, software, algoritmi che non sono stati progettati per loro, correndo numerosi rischi.
Inoltre, tra gli 11 e i 13 anni sono in aumento gli atti di cyberbullismo[4]: In Puglia gli adolescenti vittime di questi episodi sono il 15,7%, la terza percentuale più alta dopo Sicilia e Campania. Le ragazze sono più frequentemente vittime di atti di cyberbullismo, ma esiste anche una quota di “bulle” che colpiscono le compagne per isolarle e deriderle soprattutto negli anni della preadolescenza, quando i tempi di crescita non sono uguali per tutte.
“La rete internet non è stata pensata per l’infanzia. Le sue regole, i suoi algoritmi, i suoi business non sono disegnati per accogliere i tanti bambini e adolescenti che oggi la popolano. È sotto gli occhi di tutti l’urgenza di ridisegnare gli ambienti digitali per farli diventare spazi sicuri. L’entrata in vigore il 21 novembre della delibera dell’Agcom con cui le sim intestate ai minori non avranno più accesso a contenuti inappropriati deve rappresentare solo il primo passo di un piano più ampio per un ambiente digitale a misura di bambini, bambine e adolescenti. Occorre sciogliere i nodi tecnici per verificare l’effettiva età di chi si iscrive ai social, rafforzare il contrasto alla produzione, diffusione e fruizione di immagini pedopornografiche, alla diffusione di immagini private senza consenso, del cyberbullismo, dei discorsi di odio e di tutto ciò che rende oggi violento e distruttivo l’impatto con la rete per i giovani naviganti. È fondamentale che anche l’Unione Europea, nel percorso di approvazione della Proposta di Regolamento sulla prevenzione e la lotta contro gli abusi sessuali sui minori mantenga come prioritario l’obbligo per le piattaforme di assumere un ruolo attivo nel contrasto alla pedopornografia. Questo richiede senza dubbio un forte investimento in termini di risorse e di tecnologie, ma non possiamo accettare che la sicurezza dei bambini in rete sia considerata meno importante rispetto a quella del commercio o del banking on line. Senza sottovalutare, infine, la necessità di responsabilizzazione degli adulti, a partire dai genitori. Per rafforzare la loro consapevolezza, ad esempio, le aziende produttrici dovrebbero inserire tra le avvertenze di utilizzo di tutti i dispositivi digitali informazioni chiare e scientificamente validate circa il rischio di danni che l’esposizione precoce e prolungata può procurare ai bambini nei primi anni di vita. Più in generale, tutta la comunità educante deve attivarsi per far sì che l’ambiente digitale possa davvero diventare per i ragazzi e le ragazze un prezioso spazio di protagonismo”, ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children.
I giovani e il digitale
Ragazze e ragazzi sfruttano la connessione per molteplici attività, a partire dalla messaggeria istantanea, utilizzata dal 93% dei 14-17enni. Tra le altre attività preferite dagli adolescenti online ci sono: guardare i video (84%, in crescita), frequentare i social media (79%) – con Facebook in drastico declino mentre avanzano Instagram, TikTok e Snapchat – e l’uso dei videogiochi (72,4%). Se le ragazze frequentano con più costanza e intensità i social media (84% contro il 74% dei maschi), il gaming impegna di più i ragazzi (81% contro il 64% delle ragazze), anche se le videogiocatrici sono in crescita[5]. Ma i giovani utilizzano la connessione anche per informarsi: il 28,5% degli 11-17enni legge riviste e giornali online (percentuale che sale al 37% nella fascia 14-17 anni) e sfrutta i social media come canali di informazione, anche se non sempre dichiara di sapersi difendere dalle insidie delle fake news. I giovani usano sempre di più i social media per diffondere conoscenze e informazioni e fare attivismo, sfruttando anche la facilità di collaborazione e di partecipazione che offrono le piattaforme digitali.
Genitori onlife
Nonostante le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – accolte anche in Italia dalla Società Italiana di Pediatria (SIP) – di non utilizzare dispositivi digitali per i bambini di età inferiore ai 2 anni, secondo una recente indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia il 22,1% dei bambini di 2-5 mesi passa del tempo davanti allo schermo (tv, computer, tablet o smartphone), per la maggior parte per meno di un’ora al giorno. I livelli di esposizione crescono con l’aumentare dell’età: se si considera il tempo di fruizione complessivo, che va da meno di un’ora a oltre tre ore, la percentuale di bambine e bambini che ha un’esposizione agli schermi tra gli 11 e i 15 mesi d’età in media arriva al 58,1%, quasi 3 su 5, e in Puglia raggiunge il 65,4%, e tra questi il 4,6% è esposto per tre o più ore al giorno (la quarta percentuale più alta)[6].
Dipendenze da internet
L’Atlante di Save the Children evidenzia che in Puglia le ragazze e i ragazzi di 11, 13 e 15 anni che mostrano un uso problematico dei social media sono il 14,6% ( terzo dato più alto in Italia, dove la media è del 13,5%). Sono soprattutto le ragazze a soffrirne e l’età più critica è quella dei 13 anni: tra le principali motivazioni dell’uso intensivo dei social media c’è quello di scappare da sentimenti negativi. Per quanto riguarda, invece, i videogiochi, in Puglia, il 25,2% degli adolescenti di 11, 13 e 15 anni ne fa un uso problematico (superiore alla media nazionale, che è 24%, seconda percentuale più alta dopo la Campania): qui sono però i ragazzi ad essere più esposti e l’età di maggiore esposizione, in questo caso, si abbassa a 11 anni[7].
I comportamenti a rischio di dipendenza tecnologica, da social media o da gioco online, sono correlati a un aumento dell’ansia sociale, della depressione e dell’impulsività, nonché a una peggiore qualità del sonno e a un rendimento scolastico scarso. Un uso intensivo di internet è associato anche a una maggior rischio di sovrappeso o obesità, a causa dell’inattività (navigare a lungo vuol dire stare molte ore seduti, per lo più fermi), e per le cattive abitudini alimentari legate all’iperconnessione. In Italia è in crescita il numero di ragazze e ragazzi obesi o in sovrappeso, soprattutto al Sud, dove è maggiore anche la percentuale di 6-17enni che usano il cellulare tutti i giorni: in Puglia il 26,1% degli adolescenti è in sovrappeso o obeso, percentuale superiore rispetto alla media nazionale (22,6%) e terzo dato più alto dopo la Campania (31,6%) e la Sicilia (26,7%)[8].
La prevenzione è un primo importante passo e dovrebbe concentrarsi sui più giovani visto che i più alti tassi di dipendenza da internet si riscontrano durante l’infanzia e l’adolescenza e necessita di un approccio congiunto di scuola e famiglia[9].
Benché ancora non esista una definizione univoca di dipendenza da internet[10], in Italia ci sono 87 centri territoriali che offrono assistenza ai minorenni[11] attraverso équipe multidisciplinari formate da psicologi, assistenti sociali, educatori. La maggior parte si concentra nelle regioni del Centro Nord, in Puglia ce n’è solo uno, a Taranto.
Delle 10mila persone, tra giovani e adulti, che finora hanno contattato questi servizi in Italia, la fascia d’età più rappresentata è quella dei 15-17enni (con il 13,7% dei maschi e il 9,2% delle ragazze) mentre quella tra 0 e 17 anni, nel suo complesso, costituisce quasi il 30% del totale. Per quanto riguarda le diagnosi, al primo posto c’è una generica dipendenza da internet, e, a seguire, internet gaming disorder, dipendenza dalle relazioni virtuali, da sesso virtuale, shopping online e sovraccarico cognitivo (o information overloading), ovvero la ricerca ossessiva di informazioni sul web. Spesso molte di queste dipendenze sono collegate anche con altri fenomeni: è emerso, per esempio, che ragazze e ragazzi che presentano un uso problematico di internet hanno anche una probabilità maggiore di soffrire di disturbi dell’alimentazione[12] o mostrano un maggiore consumo di alcol e ansiolitici[13].
La scuola digitale
Nel processo di alfabetizzazione digitale, la scuola svolge un ruolo fondamentale nell’insegnare a utilizzare i linguaggi e gli strumenti in modo adeguato e sicuro. Dotare tutte le scuole di una connessione veloce e stabile e di strumenti digitali adeguati rappresenta il prerequisito essenziale per ridurre il digital divide e combattere la povertà educativa digitale, dando priorità agli istituti situati in aree particolarmente svantaggiate dove maggiore è l’incidenza della povertà materiale ed educativa. In questa direzione, una svolta importante per la transizione digitale del mondo della scuola è attesa con il PNRR, che prevede 2,1 miliardi di euro per finanziare il Piano Scuola 4.0 con interventi per il cablaggio, l’innovazione degli ambienti per l’apprendimento e degli strumenti digitali in tutte le scuole, oltre che 800 milioni su formazione digitale dei docenti.
Con il Piano “Scuole connesse” – avviato nel 2021 e che punta a connettere il 100% delle scuole del primo e secondo ciclo entro la fine del 2023 alla velocità di 1 gigabyte al secondo – sono 19.432 le scuole sul territorio nazionale che sono state “attivate”[14] sulle 32.350 incluse nel Piano, ovvero il 60%[15].
Secondo le stime, guardando alla percentuale di scuole con la banda ultra larga, la Puglia è la regione più avanzata con solo il 14,4% di scuole ancora da connettere sul totale delle sedi scolastiche, , seguita dalla Lombardia (78,7% le scuole connesse), fanalino di coda la Sardegna dove la proporzione è quasi invertita e le scuole ancora prive di connessione ultra veloce raggiungono il 67%[16]. Per quanto riguarda le scuole secondarie di primo grado, solo a Lecce tutte le scuole sono ormai connesse, a Bari il 92%, l’88% a Taranto, l’80% a Brindisi, il 73% a Foggia. Per quanto riguarda le scuole secondarie di secondo grado, Bari è in testa con il 94% di istituti connessi, seguono Foggia con l’87%, , Lecce 80%, Brindisi 75% e Taranto 74%.
Per realtà territoriali difficili da raggiungere o poco dotate di opportunità culturali e ricreative, il digitale rappresenta uno strumento di innovazione didattica, utile, per esempio per collegare le piccole scuole (188 le primarie in Puglia), ovvero plessi che accolgono pochissimi studenti (poco più di 11mila in Italia[17]), che diventano così luogo di sperimentazione e un importante presidio comunitario.
Più in generale, il digitale è un potente strumento per innovare e sperimentare, oltre che per l’inclusione. Tra le applicazioni più sperimentate negli ultimi anni c’è il gaming applicato alla didattica: dalle Escape Room per imparare le declinazioni del greco antico all’utilizzo del videogame Minecraft, passando anche per il coding, ovvero la programmazione informatica, tutte attività che favoriscono la creatività, il problem solving e il lavoro di squadra.
Negli ultimi anni sono aumentate anche le tecnologie didattiche che favoriscono l’inclusione degli alunni con disabilità. In Italia il 76% delle scuole primarie e secondarie (statali e non statali) dispone di postazioni informatiche adattate alle esigenze degli alunni con disabilità, stessa percentuale in Puglia, ma lontano dai territori più virtuosi della Provincia autonoma di Trento (88%), dell’Umbria (84%) e dell’Emilia Romagna.
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